La casa: il piacere del fare cinema.

Non ci giriamo attorno, e non allunghiamo inutilmente il brodo. La Casa è un capolavoro. E’ quel film che qualsiasi cineasta interessato a fare gore, horror, splatter, grottesco, demenziale(soprattutto negli ultimi due capitoli della saga), commedia nera, deve guardare prima di iniziare a girare il suo film.
La Casa è quel film dal quale non si può prescindere per girare un horror come si deve.
SCHEDA FILM
  • TITOLO: La casa (Evil Dead)
  • DATA DI USCITA: 1981
  • REGIA: Sam Raimi
  • SCENEGGIATURA: Sam Raimi
  • TRAMA:

Cinque ragazzi si recano per il week-end in una casetta di montagna. Nella cantina Ash trova un registratore ed un antico libro, il Necronomicon, il libro dei morti che permette di evocare le anime dei dannati; sul nastro è incisa la voce di un archeologo che scandisce la formula magica completamente recitata, scatenando le forze del male, che possiederanno a casa e daranno inizio ad una sequela di torture verso i ragazzi intrappolati nel bosco.

Partendo dal soggetto e dalla sceneggiatura più squallida del mondo, Sam Raimi confeziona, con poco più di qualche centinaio di migliaia di dollari, uno dei film più importanti della storia dell’horror.

Sfrutterò l’analisi di questo film per discutere, nei limiti della sede in cui mi trovo – il breve consiglio di un film – del concetto di “piacere del fare cinema“, del concetto di “piacere del fare arte“.

Poco spazio in questo articolo sarà dedicato alla parte concettuale del film, che di fatto non ha nulla di particolare che meriti di essere menzionato. La storia è semplice, i personaggi tagliati con l’accetta, e il film è sostanzialmente privo di qualsiasi messaggio di fondo o critica sociale/politica/religiosa di qualche tipo.
La struttura narrativa inoltre è molto lineare, con eventi che non si intrecciano ma si sviluppano ordinatamente e gradualmente, in un crescendo horror che è ben calibrato per quasi tutta la pellicola, per poi esplodere nella parte finale.

Allora perché questo film è un capolavoro?
Per la messa in scena. Per lo stile di Raimi.
Uno stile che porta all’eccesso qualsiasi cosa, che piega il genere alla sua volontà e fa del film – per citare molti recensori – un grande luna park dell’horror.
Il regista fa di questo B-Movie una vera opera d’arte, esaltando fino alla caricatura qualsiasi cosa in scena, dai demoni, ai personaggi, agli oggetti, ai suoni, alle inquadrature. Da ricordare che la “steadycam”(metto tra virgolette perché di fatto non si tratta di questo) usata per le scene nelle quali il demone insegue i protagonisti fu creata dallo stesso regista, simbolo di come la sua abilità tecnica superi di gran lunga le limitazioni economiche imposte da un budget davvero risicato. Ne viene fuori un film fatto di espedienti, di trucchetti semplici ed efficaci, che non nascondo l’amore per Mario Bava e i grandi registi del passato che attraverso il meccanismo del cinema seppero oltrepassare i confini dettati dalle scarse tecnologie/risorse.

Raimi mette in gioco tutte le sue abilità tecniche per creare degli effetti che, caricati dall’intera ambientazione grottesca, non risultano mai ridicoli, ma accartocciano l’horror su se stesso, giocando con lo spettatore, creando qualcosa che si distacca completamente dall’impostazione del genere in quegli anni. Tra sciroppo e crema di mais, il sangue e le budella vengono inseriti in un contesto che non li rende ridicoli ma non li fa eccessivamente prendere sul serio. Nulla nel film si prende sul serio, e tensione e paura sono creati da questa dicotomia tra commedia e splatter/horror, che fa costantemente abbassare la guardia dello spettatore per poi farlo irrigidire.


Un esempio – tra i tanti – di questa dicotomia è, per esempio, il fatto che da fuori la casa sia una piccola costruzione in legno che non potrebbe contare, ad occhio, più di un paio di stanze, mentre nelle scene in interno vediamo infiniti corridoi, porte, diramazioni nella planimetria della struttura, cantine sotterranee addirittura. Le scene in interno dunque creano suspence e terrore nelle sequenze adrenaliniche con i vari demoni. Il tutto viene subito dopo spezzato da un’inquadratura che mostra la casa dall’esterno e ci riporta alla dimensione grottesca e inverosimile del tutto. 


Il montaggio e la regia, insieme a Bruce Campbell sono i veri protagonisti del film. Raimi tira fuori tutto il suo estro e regala poesia da ogni inquadratura o movimento. Carrellate che vanno in orizzontale, verticale, obliquo, con la macchina da presa che gioca attorno alla scena, facendo voli pindarici e passando da panoramiche a primissimi piani tra un frame e l’altro. Il montaggio è lento e pacato nella parte iniziale per poi esplodere in una sequela di tagli e stacchi che non danno mai l’idea di confusione o di caos, ma, senza superare mai quella soglia, regalano scene di estrema chiarezza e frenesia.
In questo film c’è passione, c’è amore. Sam Raimi eleva il B-Movie e lo rende un film di estrema qualità, grazie proprio all’amore per il genere, per il cinema, per l’arte. La qualità della pellicola dunque non è data dal purè con cui vengono fatte le carni maciullate, o lo sciroppo spacciato per sangue, ma dall’abilità registica di un cineasta che, al suo esordio, non fa altro che esprimere al massimo la sua sensibilità di ragazzo innamorato del mezzo cinematografico e del racconto per immagini.

Il piacere del fare cinema, del fare arte, è qualcosa che non può non essere notato. E’ un elemento chiarissimo in questo film, e traspare da ogni singola inquadratura, che piaccia o no. 

E’ indubbio che la passione non basta per creare un buon prodotto, ma se associata all’abilità(come in questo caso), il risultato non può che essere unico. Il regista fa proprio questo: prende una storia banale, con un soggetto banale, e lo trasforma in una proiezione della sua mente da giovane cresciuto a pane, fumetti e Mario Bava, adornando il tutto con una realizzazione tecnica/registica incredibile, riconoscibile, peculiare, rendendola un pezzo geniale nella sua semplicità di base.
Perché è proprio qui che sta la bellezza del film: nella sua genialità, nelle scelte di messa in scena e costruzione dell’impianto visivo. Il regista dimostra di avere una mente estremamente creativa, forse strana, contorta, ma incredibilmente affascinante.

La Casa è tutto questo: creativo, forse strano, contorto, ma incredibilmente affascinante.

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