Eccomi con un nuovo capitolo di “Tra Cinema e Pittura“, la rubrica in cui metterò a paragone ed analizzerò scene, frames, sequenze di film con opere pittoriche alle quali i registi si sono ispirati per le loro pellicole.
Il film che prenderò in esame è Il labirinto del fauno(El laberinto del fauno), del 2006, scritto e diretto da Guillermo del Toro.
Che Guillermo del Toro sia un grande regista è inopinabile(se non siete d’accordo mi dispiace ma non potete mangiare latte e biscotti con noi), che sia un grande sceneggiatore non può essere messo in dubbio(se non siete d’accordo non potete mangiare i tacos con noi) e che sia un grande disegnatore e una tra le menti più creative e geniali tra gli artisti degli ultimi anni è semplice oggettività(se non siete d’accordo niente salsicce e fagiolini per voi.).
Con Il Labirinto del fauno del Toro pone le basi per quello che sarà il suo capolavoro visivo, Hellboy: The Golden Army. La sua poetica visiva e concettuale vede in questo film comunque grande espressione.
Uno dei personaggi più peculiari partoriti dalla sua mente è indubbiamente L’Uomo Pallido, creatura che Ofelia incontrerà nel corso del film e che dovrà “affrontare”.
“Il labirinto del fauno” è un film pieno zeppo di simbolismi e di rimandi, e questo essere è uno di quelli che ne racchiude di più. Il suo design è ovviamente originale, sebbene nelle sue forme siano presenti chiari rimandi a “Saturno che divora i suoi figli” di Francisco Goya, celebre pittore nato nel 1746, avente avuto un percorso gradualmente più cupo nelle tematiche e nello stile, fino ad arrivare alle Pitture nere(Las pinturas negras), dipinte tra il 1820 e il 1823, sulle mura della sua abitazione, dove morirà nel 1828.
Non starò qui a raccontare per intero la vicenda di Saturno e dei suoi figli, basti sapere che
Saturno (Crono per i greci) fagocita i suoi figli nel momento della nascita, poiché gli è stato profetizzato che uno di loro lo avrebbe scalzato. Dunque, a costo di massacrare dei neonati, il dio dei cicli naturali custodisce avidamente il suo potente trono.
Goya abbandona totalmente la grazia e la compostezza tecnica dei primi lavori(basti guardare il dipinto per la famiglia di Carlo IV per esempio, del 1800 circa) per abbandonarsi a quei mostri e a quelle malvagie sensazioni che lo hanno sopraffatto negli ultimi anni della sua vita e che si ripercuotono sui suoi colori e sulle sue pennellate.
Saturno che divora i suoi figli si presenta come una scena estremamente cruda, in cui la malvagità della figura del carnefice è quasi palpabile. Lo sfondo è totalmente nero, e solo qualche colpo di luce viene utilizzato per far venir fuori le forme dei soggetti, quasi non-colpiti da luce, fatta eccezione per il corpo maciullato e sanguinante, vero punto focale dell’opera. Le pennellate di Goya si fanno pesanti, i tratti incerti, la deformazione mentale diventa deformazione fisica di un Saturno che perde la sua connotazione di dio inserito in un racconto mitologico, ma assume significati politici e religiosi da ricercare nel periodo in cui visse il pittore.
Una importante interpretazione è quella che vede Saturno come la Spagna che divora le sue piccole cittadine attraverso i disastri delle guerre civili e delle rivoluzioni avvenute in quegli anni.
Ciò che viene messo particolarmente in luce è l’espressione di Saturno, con gli occhi spalancati, quasi fuori dalle orbite, sofferente ma allo stesso tempo avido e crudele. La potenza espressiva di questa rappresentazione non è paragonabile ad altri pezzi nella storia dell’arte, e il suo anticipare quello che sarà poi l’Espressionismo lo rende un pezzo di particolare importanza e significato. Il passaggio dal decoro e dalla compostezza all’abisso delle linee e dei colori tira fuori dalla mano di Goya un dipinto che gioca su poche tonalità di colore e su un colpo cromatico molto forte dato dal rosso acceso del sangue.
L’uomo divorato è senza un braccio e senza la testa, elemento senza il quale il corpo diventa un semplice oggetto privo di anima, simbolo dell’universalità del concetto espresso quest’opera d’arte(a differenza dello stesso soggetto dipinto da Rubens circa 200 anni prima, che dava chiara connotazione ai due soggetti).
Guillermo del Toro ripropone nel suo film una scena analoga, con l’Uomo Pallido che divora due esseri alati strappando loro appunto la testa.
Il regista messicano ambienta il suo film durante il regime franchista, inserendo palesi rimandi a fatti storici realmente accaduti e inserendo chiaramente la sua posizione a riguardo, criticando il regime e la chiesa in relazione alle sue azioni durante quel periodo.
L’Uomo Pallido rappresenta la chiesa per me. Rappresenta il fascismo e la chiesa che mangia i bambini quando ha davanti a se un banchetto perversamente abbondante.
La posizione di del Toro è chiara. Il mostro mangia i piccoli proprio come il franchismo e la chiesa divorano i propri oppositori. La scelta stessa di mettere gli occhi del mostro all’interno delle sue mani è un chiaro simbolo dell’avidità e dell’interesse verso ciò che è solo materiale, unico interesse di una chiesa corrotta che non ha oramai più nulla di religioso. Il montaggio del film parla chiaro in quella scena, alternando il banchetto dell’Uomo Pallido con il banchetto del capitano Vidal, in cui è presente anche un prete.
Non a caso alla bambina viene raccomandato di non mangiare nulla di quello che è presente sul tavolo dell’orrenda creatura, in quanto la purezza di Ofelia non deve essere assolutamente compromessa e sporcata da quelli che sono i fumi velenosi di un periodo di chiusura mentale, nel quale l’unica via di fuga è l’immaginazione.
Immaginazione che assume un significato politico e religioso in un film speciale, nato da una mente che attribuisce all’immaginazione un ruolo di vitale importanza per vivere in un mondo tenuto in gabbia da un sistema che vuole impedire che il pensiero sia realmente libero, dove la fantasia diventa unico strumento per evadere e per dare a noi stessi la speranza per una vita migliore.
Il labirinto del fauno è un film che nessuno deve lasciarsi scappare. Un film dove l’arte non è presente per essere una mera citazione, ma per essere una chiave di lettura ad una situazione che non riguarda solo la Spagna, e che non riguarda – purtroppo – solo il XIX e il XX secolo.
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