[TRA CINEMA E PITTURA] "Coraline e la porta magica": Henry Selick incontra Sandro Botticelli e Vincent Van Gogh.
Eccomi con un nuovo capitolo di “Tra Cinema e Pittura“, la rubrica in cui metterò a paragone ed analizzerò scene, frames, sequenze di film con opere pittoriche alle quali i registi si sono ispirati per le loro pellicole.
Il film che prenderò in esame è Coraline e la porta magica(Coraline), del 2009, scrittoe diretto da Henry Selick.
Quest’oggi doppio episodio, nel quale andremo ad analizzare due momenti all’interno dei quali vedremo riproposte due famosissime opere d’arte, rispettivamente di Sandro Botticelli e Vincent Van Gogh.
In molti conosceranno Henry Selick per il suo lavoro di regista in The Nightmare Before Christmas, e in molti riconosceranno la bravura di questo animatore e direttore di film in stop-motion.
Coraline è un film ricco di citazioni, decisamente non per bambini piccoli, che a fatica riuscirebbero a trarne giovamento nel marasma di sensazioni e visioni tendenti spesso all’horror. I più grandi possono però godere a pieno di questo prodotto girato estremamente bene, fotografato da Pete Kozachik che ritorna ad un’alternanza cromatica vista in La Sposa Cadavere di Tim Burton, e con una sceneggiatura che, sebbene semplice, non manca di fornire diversi spunti di riflessione.
Uno di questi spunti riguarda il concetto della bellezza, della contrapposizione tra l’attrazione fisica e quella spirituale, tra ciò che c’è fuori e ciò che c’è dentro. Temi centrali de La Nascita di Venere di Sandro Botticelli.
Autore: Sandro Botticelli Titolo: La Nascita di Venere Data: 1484-1486 ca. Ubicazione: Galleria degli Uffizi, Firenze Tecnica: Tempera su tela Dimensioni: 172cm x 278cm
Botticelli innanzitutto mette lo sfondo in secondo piano anche a livello ideologico, non avendo per lui nessuna cura a livello prospettico, scegliendo per la scena un’impostazione prettamente teatrale, con figure in primo piano molto plastiche e voluminose grazie al morbido chiaroscuro e all’uso della linea di contorno.
Il pittore non si allontana solo dalla struttura prospettica dell’ambiente ma anche dalla formalità anatomica e fisica, dipingendo Venere in una posizione di contrapposto assolutamente non stabile, partendo dal suo appoggio fino alla distribuzione del peso che non consentirebbe di mantenere l’equilibrio della figura. La sua resa anatomica inoltre presenta elementi innaturali come la lunghezza del collo, decisamente sproporzionata.
L’interesse principale dell’artista è quello di creare una figura quanto più armoniosa possibile, facendo convergere in essa, contemporaneamente, la bellezza fisica e quella spirituale. Attenendosi quindi ai concetti del neoplatonismo, Botticelli cerca di esprimere, attraverso una idealizzazione della figura, la bellezza spirituale sublimata da quella sessuale/carnale.
La Venere diventa dunque elemento che unisce i due lati dell’amore(fisico e spirituale), ponendosi inoltre al centro tra due figure(+1) che svolgono contemporaneamente azioni diverse. Da un lato la dea viene colpita dal vento, dall’altro viene accolta con un manto rosso. La contrapposizione è inoltre anche a livello dinamico, con un passaggio dal movimento(il vento) alla staticità(l’arrivo sulla terraferma).
Sarà saltata subito all’occhio dunque il contrasto che c’è tra le tonalità del blu diametralmente opposte a quelle del rosso, del freddo e del caldo, del fuoco e del ghiaccio, del divino e del terreno, del corporeo e dello spirituale.
Il numero 3 e le linee diagonali formanti dei triangoli la fanno da padrone, conferendo ancor più compostezza e simmetria ad un opera fondata sulla ricerca dell’armonia, a partire dalle linee ideali che vanno dal capo della Venere ai due lati della conchiglia, per poi passare alla posizione delle due figure laterali che, protratte verso di lei, formano linee compositive chiaramente triangolari.
Elemento tipico del disegno di Botticelli e di quasi tutta la sua produzione pittorica è la malinconia che traspare dai volti dei suoi personaggi, persi quasi in una visione di qualcosa di lontano, di obliato. Un qualcosa da non trascurare, in quanto conferisce dolcezza e, se mi si voglia passare il termine, “timidezza” alle opere del pittore.
Henry Selick mette in scena il dipinto seguendo lo stesso concetto visivo di Botticelli, con le figure staccate da uno sfondo bidimensionale, sfruttando la situazione in scena che vede due sorelle recitare a teatro.
Allego la Clip in questione della quale ho necessità per proseguire l’analisi della scena, che sviluppa, a differenza del dipinto di Botticelli, il suo “dialogo” tra bellezza carnale e spirituale attraverso i battibecchi delle due strambe sorelle e attraverso la loro performance sulla scena.
La discussione piuttosto accesa fra le due è sostanzialmente un botta e risposta sull’importanza o meno delle curve e della fisicità della donna per l’atto di conquista di un uomo. Nulla di nuovo dunque, alla luce di ciò che ho sopra evidenziato riguardo il dipinto del pittore Rinascimentale. In che modo Selick tratta l’argomento? Con la sua messa in scena estremamente sopra le righe e attraverso due personaggi molto caricaturali(basti guardare l’enorme seno della “Venere”, alla quale lei stessa fa riferimento per esaltare l’importanza di tale parte del corpo femminile) che, tramite un litigio che poi sfocia in una sorta di filastrocca sviscerano in poco più di qualche minuto il tema della bellezza fisica e spirituale.
Negli ultimi momenti di questa clip, infatti, vediamo le due protagoniste “aprirsi” come dei gusci e lasciar uscire due figure dall’aspetto molto più gradevole, dalle movenze più aggraziate e con voci più dolci.
Il concetto di bellezza fisica equivalente a bellezza spirituale viene dunque espresso attraverso una piccola sequenza che, nei limiti della sua durata e del tipo di intrattenimento fornisce, riassume molto chiaramente ed esprime importanti concetti che, come detto all’inizio dell’articolo, lasceranno agli spettatori adulti particolari spunti di riflessione.
Passiamo ora alla seconda parte di questo articolo, esaminando un’altra delle opere più famose della storia: La notte stellata, di Vincent Van Gogh, che troveremo riproposta nella parte finale del lungometraggio, e i quali colori sono i principali protagonisti dell’intero film, che gioca costantemente sull’accostamento di blu e giallo e sulle stelle in cielo(anche alcuni abiti della protagonista sono trapuntati di stelle).
Autore: Vincent Van Gogh
Titolo: Notte Stellata
Data: 1889
Ubicazione: Museum of Modern Art, New York
Tecnica: Olio su tela
Dimensioni: 72cm x 92cm
In questo dipinto Van Gogh ci presenta un cipresso in primo piano che si erge verso un immenso cielo ricco di astri che sovrasta a sua volta delle colline e un piccolo paesino, rimembranza di quello stesso paesino in cui nacque. L’opera infatti può essere considerata la summa di tutte le influenze che il pittore ha subito durante la sua crescita artistica, dall’arte Giapponese all’Impressionismo.
“Spesso penso che la notte sia più viva e più riccamente colorata del giorno.”
E’ proprio la vita che scorre nelle “vene” della tela che fa di questo dipinto un pezzo più unico che raro. Il tratto e le pennellate brevi e susseguite che prendono possesso della mano di Van Gogh producono un moto ondulato e a spirale che conferisce un movimento vorticoso e deciso alla scena. Movimento che va da sinistra a destra(cielo), da destra a sinistra(colline) e dal basso verso l’alto(cipresso).
La scena è molto lontana dallo stile realista, in quanto derivata da un ricordo tornato alla mente del pittore durante il periodo di ricovero in manicomio; ci si avvicina dunque a quello stile che verrà successivamente chiamato “Espressionismo”, nel quale il prodotto artistico viene modellato ed è completamente soggetto alla sensibilità dell’artista.
I colori stessi non seguono particolari vincoli, ma sono tutti giocati sulle tonalità di blu, fatta eccezione per le stelle che, inglobate letteralmente dal vortice della notte, arrivano ad avere tratti sul verde chiaro. Uniche fonti di forte luce sono una stella in basso a sinistra, e la Luna, attorno alle quali le pennellate creano una vera e propria aureola.
La relazione che il dipinto ha con il film è da ricercare nella funzione del cipresso in questo quadro, elemento sinuoso e slanciato che fa da ponte tra la terra e il cielo stellato, uno dei pochi modi per evadere da quella realtà opprimente e da tutte quelle problematiche psichiche delle quali Vincent Van Gogh, purtroppo, era cosciente. Questa consapevolezza fu uno dei motivi principali che portarono l’olandese a logorarsi sempre di più, cercando scampo nella pittura, e nella visione della natura, di notte, tra gli astri.
Allo stesso modo Coraline, attraverso la porta magica, entra in un mondo idilliaco, nel quale si sente a suo agio e che funge da luogo di evasione per una mente appassita da una vita che non ama.
Selick da vita, attraverso la computer grafica, a quella che probabilmente era la visione del dipinto da parte di Van Gogh stesso: un vorticoso movimento di astri e delle loro scie in uno scuro cielo.
L’analogia tra l’opera di Van Gogh e il film è a livello globale. La protagonista vive uno stato di disagio che sfocia nel cielo stellato quale mondo ultraterreno simbolo di evasione. Le anime da lei salvate, divenute oramai stelle, sono libere di tornare nel cielo, quello stesso cielo del quale anche Vincent Van Gogh fa parte, sin da quella triste notte 29 luglio 1890. Una triste notte, certo, ma sicuramente stellata.
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