Battle Royale: metafora intramontabile.

In questa recensione si parla di una pietra miliare della cinematografia mondiale, di un capolavoro del genere distopico nonché del genere action.
Fukasaku mette in scena, insieme alla mano di suo figlio, una sceneggiatura curata nei minimi dettagli e una regia che passa dal didascalico all’intrattenimento puro, senza avere mai cali o scivolare. Ne viene fuori un prodotto unico nel suo genere, da cui verrà creata anche la famosissima saga di Hunger Games, che, ovviamente, non raggiunge neanche un quarto della qualità di questo film, lontano da esigenze di mercato e decisamente non creato per essere di stampo commerciale.
SCHEDA FILM
  • TITOLO: Battle Royale (Batoru Rowaiauru)
  • DATA DI USCITA: 2000
  • REGIA: Kinji Fukasaku
  • SCENEGGIATURA: Kinji Fukasaku
  • TRAMA:

La società giapponese è sull’orlo del collasso. Per scoraggiare la dilagante violenza giovanile e controbattere l’inefficacia delle istituzioni scolastiche, è stato varato il Battle Royale Act. Un gruppo di studenti della nazione viene estratto casualmente per essere destinato verso un’isola deserta dove, nel corso di tre giorni e con le armi a loro assegnate, i ragazzi dovranno uccidersi gli uni con gli altri, fino a quando non ne rimarrà solo uno.

Kinji Fukasaku gira questo suo film a 70 anni, con la vivacità di un ragazzino alle prime armi e con la consapevolezza di un uomo e artista maturo. Ed è proprio da qui che voglio partire per sviscerare la struttura di Battle Royale, che vive di una splendida dicotomia tra riguardo e cinismo, leggerezza e decisione, visione analitica e globale.

La regia del film è mai estetizzante. La grande quantità di violenza presente nel film non viene esaltata in quanto tale, ma diventa specchio dell’erosione e cruda rappresentazione(metaforica ovviamente) della società Giapponese traslata in questo racconto distopico, tanto assurdo quanto vero.
Fukasaku cerca il distacco tra spettatore e personaggi, portando lo spettatore inizialmente verso il macrocosmo e non verso il singolo, che è solo un tassello di un grande meccanismo. Le inquadrature sono lontane, fredde, distaccate, come la fotografia che opacizza i colori e non è mai barocca.

Le scelte registiche analitiche si ritrovano per esempio nelle scritte sullo schermo che “notificano” la morte dei personaggi, dando uno stampo quasi documentaristico ad una vicenda che viene a tratti analizzata come un verso e proprio spaccato di civiltà da studiare e osservare. Osservare come ogni singolo personaggio abbia dei risvolti completamente differenti dagli altri, che li porteranno ad incarnare i diversi problemi della civiltà e le diverse oscure sfaccettature dell’animo umano.

L’obiettivo della macchina da presa e della sceneggiatura passa lentamente dal globale al singolo, con il restringimento del focus della videocamera che segue il diminuire dei “concorrenti” in gioco, concentrandosi sempre maggiormente sugli aspetti psicologici e del rapporto tra gli ultimi rimasti in gara.
La recitazione ottima da parte di tutti gli attori, di un fantastico Takeshi Kitano, svolgerà un ruolo fondamentale per controbilanciare l’apatia della macchina da presa, con dialoghi ben assestati e gesti che valgono più delle parole. Nel film subentra spesso la componente action, attraverso la quale si potrà godere della maestria tecnica di Fukasaku che non si lascia scappare un singolo frame negli scontri, mai banali e coreografati per essere quanto più possibili goffi e dunque realistici(si parla di ragazzini che si ammazzano, non dimentichiamolo).
La critica sociale dietro Battle Royale è spietata. Nulla è lasciato al caso, ed ogni elemento funge da specchio di un diverso frammento dell’erosa società in cui viviamo, fatta di oppressione, dispotismo, deresponsabilizzazione e menefreghismo. Una società divorata da se stessa, che per risolvere i problemi si divora con i suoi stessi mezzi, sacrificando degli agnelli sfruttati come capri espiatori per i propri errori, consumata da avidità e sete di potere. Una volpe che sbrana la propria zampa per fuggire da una trappola. Una trappola creata da se stessa, stavolta.
Battle Royale è una metafora della società, che non annoia per un secondo, che gode di una regia quadratissima e di un montaggio sostenuto e mai confuso. Una sceneggiatura solida e scritta per sviscerare i diversi ruoli dell’uomo nel triste mondo in cui viviamo, con un messaggio di fondo forte e chiaro, espresso con vera forza dalle espressioni dei tremolanti ragazzi e del pallido e ferreo maestro(Takeshi Kitano). Un film unico, dal quale tutti i cineasti dovrebbero imparare per i loro film distopici o d’azione. Un perfetto mix tra forma e sostanza, tra visivo e concettuale. Un capolavoro.
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