Parlare di Ichi the Killer per me è come cercare di spiegare la sensazione che si prova quando la mattina di Natale, quando si è piccoli, ci si sveglia e si trova sotto l’albero il regalo che tanto desideravamo. Ichi the Killer rappresenta i primi 125 minuti passati a giocare con il videogioco appena scartato.
SCHEDA FILM
- TITOLO: Ichi the Killer (Koroshiya Ichi)
- DATA DI USCITA: 2001
- REGIA: Takashi Miike
- SCENEGGIATURA: Sakichi Satō
- TRAMA:
Il boss yakuza Anjo viene ucciso da Ichi, un ragazzo all’apparenza ingenuo e debole, ma che raggiunge una crudeltà estrema quando si sente minacciato. Il braccio destro del boss, Kakihara, vuole andare a fondo alla questione e scovare l’assassino. Inizia dunque la sua disperata ricerca che lo porterà ad incontrarsi con l’assassino Ichi, il quale lentamente è arrivato a decimare il clan di Anjo.
Partiamo dal presupposto che la grandezza di questo film è da attribuire quasi completamente al genio di Takashi Miike, regista famosissimo per il suo stile estremo e per la sua incredibile abilità nel modellare qualsiasi sceneggiatura e adattarla al suo stile, mai banale, in continua evoluzione, assolutamente sperimentale e totalmente fuori controllo.
Miike è un regista formidabile, anarchico dalla testa ai piedi. Questa sua caratteristica permea ogni suo film, che non rientra mai nei canoni convenzionali del cinema, ma si eleva ad essere un prodotto unico nel suo genere.
La regia di Ichi the Killer è fantastica, estremamente varia: Miike utilizza la macchina da presa in tutti i modi possibili e immaginabili, passando da primissimi piani a inquadrature lunghe, simmetriche e subito dopo sbilenche, spostandosi con grande rapidità da scene montate velocemente e freneticamente(i primi minuti del film sono un vero e proprio videoclip musicale), ad altre fisse con piani sequenza lentissimi.
Se da una parte abbiamo un semplice Yakuza-movie, dall’altro abbiamo la potenza visiva e concettuale del manga da cui il film è tratto, con le sue scene grottesche e la violenza presente in quasi ogni frame della pellicola.
La violenza è letteralmente ovunque, e spazia tra decine di torture diverse, quali spilli, olio bollente, sbudellamenti e chi più ne ha più ne metta. Miike sfrutta ogni suo mezzo a disposizione per rappresentare tutto ciò, dal trucco alla computer grafica(utilizzata in una sola occasione), visivamente pessima, ma che accentua l’anarchia totale di un regista che non bada minimamente a certe cose.
Un film è guidato dai suoi personaggi, non dai suoi effetti speciali.
Ovviamente la messa in scena è permeata da infinite tonalità di rosso, chiaro rimando al sangue e alla violenza, nonché all’amore.
Durante le riprese, la violenza significa amore e armonia. Durante le riprese dei miei film, nessuno si è ferito gravemente. La cosa curiosa è che più l’amore è grande, più aumenta la violenza. Ultimamente ho il dubbio che proprio dall’amore nasca la violenza. In altre parole, sono la stessa cosa.
Proprio così. Per Takashi Miike il concetto di amore è violenza è molto importante, ed è centrale in questo film. Kakihara e Ichi sono due persone alla ricerca dell’amore, in tutte le accezioni che possiamo intendere il termine. Proprio per amore Kakihara – masochista – inizia la sua ricerca dell’unica persona capace di fargli provare dolore.
Non ci sono buoni o cattivi nel film, il regista, da bravo orientale, sa benissimo che gli uomini sono entrambi, e questo viene evidenziato anche dallo sviluppo narrativo, che mescola i ruoli del cacciatore e della preda, dell’assassino e della vittima, estrapolando dai suoi personaggi quanto più possibile le varie sfaccettature dell’animo umano, del loro rapporto con la violenza, con il piacere, con la sofferenza. I due personaggi del film sono dei vinti allo stesso modo.
Ichi the Killer, per chi non sa cosa aspettarsi, è decisamente un film che colpisce, che potrebbe anche disgustare, offendere, data l’estrema violenza perpetuata sulle donne e in generale su ogni vittima dei due assassini. Da sottolineare che
Miike, a differenza di come si possa pensare, non è assolutamente misogino(basta guardare
Audition per cambiare totalmente idea sulla faccenda).
E’ doveroso sottolineare la presenza fisica di Kakihara(Tadanobu Asano) che, purtroppo(o per fortuna?), ruba la scena agli altri personaggi nel film, anche ad Ichi(Nao Omori), che seppur interessante non riesce a bilanciare l’impatto che lo yakuza ha sulla scena.
Miike in questo film tocca tantissimi temi, e lo fa con incredibile naturalezza, servendosi di un genere e di un prodotto alla base d’intrattenimento, che nelle sue mani, diventa una grande storia sulla ricerca della felicità, dell’estasi, della catarsi. Ovviamente lo fa devastando tutte quelle che sono le convenzioni cinematografiche e sociali del Giappone, odiato e amato da lui allo stesso tempo.
Raccontate la storia che è dentro di voi, senza dare troppa importanza al soggetto da cui si parte.
E’ difficile parlare solo ed esclusivamente del film, staccandolo da un regista la cui impronta autoriale è così tanto peculiare e forte. La pellicola non diventa altro che un’estensione della sensibilità del suo creatore, dei temi a lui cari, delle sue fobie e delle sue passioni. E’ incredibile vedere come Takashi Miike abbia assunto un ruolo di primaria importanza come autore nel panorama cinematografico mondiale senza aver toccato mai carta e penna, ma semplicemente piegando al suo volere qualsiasi cosa attraverso la macchina da presa, come una potente valanga di creatività ed estro, misto a virtuosismo, anarchia e sfrontatezza.
Il cinema di questo artista è molto difficile da “accettare” da molti per la sua unicità, vista – purtroppo – il più delle volte come follia piuttosto che genialità.
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