Torniamo oggi con un film horror(l’ultimo di cui abbiamo parlato è stato La casa(Evil Dead)(1980) – Sam Raimi) che ho particolarmente apprezzato per la sua struttura narrativa, molto peculiare e particolarmente forte per quanto riguarda l’impatto psicologico che il film provoca.
- TITOLO: The eyes of my mother
- DATA DI USCITA: 2016
- REGIA: Nicolas Pesce
- SCENEGGIATURA: Nicolas Pesce
- TRAMA:
Francisca vive in una fattoria con suo padre e sua madre, ex chirurga che le insegna a dissezionare animali e a non essere scandalizzata dalla morte. Un pomeriggio, uno psicopatico uccide la madre di Francisca davanti agli occhi della piccola, traumatizzandola e facendo nascere in lei un’innaturale apatia, che la porterà a sopperire alle proprie carenze affettive in modi brutali e violenti.
The eyes of my mother è un film che, attraverso un crudo realismo, inserito in un contesto aleatorio e non definito, traccia una parabola forte e decisa sulla mente di Francisca, senza troppi fronzoli o raccordi inutili(il film dura poco più di un’ora), concentrandosi sul personaggio piuttosto che sulle effettive scene “disturbanti”. Ed è proprio da questa ultima considerazione che voglio sviluppare il discorso attorno al film.
Ciò che mi ha piacevolmente colpito di questa opera prima di Nicolas Pesce è l’assenza di raccordi narrativi tra le diverse scene. Nel film infatti non viene mai mostrata esplicita violenza, in quanto il montaggio – curatissimo – si occupa di tagliarle tutte. Il risultato è un film estremamente violento, disturbante, con mutilazioni e uccisioni che non vengono mai mostrate. Il concetto narrativo base di causa-evento-effetto viene troncato del suo elemento “evento”, lasciando tutto all’immaginazione dello spettatore, che viene comunque incanalato dai binari chiamati “causa” ed “effetto” per ricostruire gli eventi.
Tutto quello che accade colpisce quindi sul piano psicologico piuttosto che visivo, creando un’atmosfera davvero difficile da sostenere, complici l’interpretazione di Kika Magalhaes – terribilmente apatica e inquietante – e la messa in scena, fatta di un bianco e nero elegantissimo, gotico ed espressionista, e di una scenografia che isola nel tempo e nello spazio la storia che ci viene raccontata.
La regia del film è pulitissima, priva di virtuosismi barocchi, ma estremamente curata nella composizione dell’immagine. Si potrà infatti stoppare il film in qualsiasi momento e fare di quel frame un poster da attaccare in camera.
The eyes of my mother è l’ennesimo esempio di come sia la messa in scena a rendere grande un film horror. Un chiaro esempio di come la natura umana possa essere sviscerata e raccontata per immagini. Il film infatti è fatto di pochissime parole, data la situazione che vede l’attrice protagonista recitare completamente da sola per la maggior parte del film, attraverso soprattutto la sua fisicità piuttosto che i dialoghi. Quei pochi che sono presenti nel film sono secchi ed incisivi, non costruiti e a volte ripetuti più volte nel corso della pellicola.
La necessità di affetto, il trauma inconscio di una bambina che non discerne chiaramente la differenza tra vita e morte sono i temi principali di questo film, sviluppati in 3 capitoli(“Mother” – “Father” – “Family“) che delineano 3 momenti della vita di Francisca, con la relativa trattazione e mutazione della psiche della bambina(poi ragazza), raccontati attraverso 3 diverse situazioni rappresentanti la ricerca continua di una figura che possa riempire il vuoto causato dalla morte della madre prima, del padre poi, fino ad arrivare a cercare di sopperire alla mancanza di un figlio.
Nicolas Pesce crea un prodotto sulla base più stupida del mondo, su una storia banalissima e priva di qualsivoglia intreccio, per concentrarsi sulla messa in scena quale veicolo di parole e di emozioni, di sensazioni, di angosce, paure, desideri. Tutto ciò viene ben amalgamato in un film che prende a piene mani dall’espressionismo, dal genere del torture porn, dell’horror psicologico, e chi più ne ha più ne metta.
In conclusione, The eyes of my mother è un grandissimo horror, tra i migliori del 2016 e degli ultimi anni, grazie soprattutto alla sua grandiosa messa in scena, fatta di inquadrature schematiche e abilmente composte, ai suoi piani sequenza lenti ed evocativi, ad una fotografia e una scenografia elegante e claustrofobica, e alla grande interpretazione di una Kika Magalhaes bravissima e potente durante tutto il film. Il tutto contornato da una sceneggiatura scarna che sfrutta nel migliore dei modi i pochi dialoghi utilizzati e il semplice soggetto di partenza. Un successo su tutti i fronti insomma per un regista al suo primo film.
Che dire, speriamo che continui a darci qualche altro horror di questo tipo, ne abbiamo davvero bisogno.
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