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- TITOLO: Monolith
- DATA DI USCITA: 2017
- REGIA: Ivan Silvestrini
- SCENEGGIATURA: Elena Bucaccio, Stefano Sardo, Ivan Silvestrini, Mauro Uzzeo
- TRAMA:
In un futuro non ben delineato, una donna e il suo bambino rimangono bloccati in una strada deserta a bordo della Monolith, una macchina iper tecnologica la quale attivando i suoi sistemi di sicurezza “intrappola” il piccolo. Sua madre deve trovare un modo per salvarlo.
Un film italiano – è fondamentale sottolinearlo – interessante sulla carta. Interessante anche a conti fatti?
Silvestrini sa muovere la macchina da presa, ma lo fa con una certa ingenuità che ogni tanto lo porta a lasciarsi troppo andare, in un film che non richiede assolutamente il virtuosismo e l’abbellimento. I momenti girati con la camera a mano sono i migliori del film: comprensibili, tremolati al punto giusto e veicolanti tensione e agitazione. Per niente utili le panoramiche dei paesaggi, i ralenti per esaltare la figura della protagonista e le inquadrature insistite della macchina in stile “pubblicità della nuova BMW“. Problemi che non ritengo particolarmente grandi: mi riferisco a pochi momenti i quali, se non presenti, avrebbero potuto smussare ancor di più il film, ma che non disturbano poi così tanto.
Nulla da dire sulla fotografia, laccata e lucida come ogni film americano dei giorni nostri che si rispetti, piatta e senza alcun intento nel valorizzare specifiche sequenze: ovviamente saranno dominanti i colori del deserto, del sole, della terra.
La struttura tecnica del film dunque non è da buttare giù sebbene non ci sia nulla di peculiare sotto questo punto di vista. Qualche accelerazione eccessiva del ritmo (mai funzionale in film come questo i quali, così facendo, diventano spesso pacchiani e barocchi) e qualche scelta discutibile, senza infamia e senza lode.
La sceneggiatura invece è ciò che più impedisce al film di spiccare il volo. Da una trama semplice – cosa che, di base, non è assolutamente negativa – viene fuori uno sviluppo infantile, banale, prevedibile, sciocco in alcuni casi. La prima parte del film è semplicemente una sequela di velocissimi eventi per far arrivare la protagonista nel punto nel quale tutta la storia avrà luogo. Nulla da obiettare, se non fosse per il fatto che in questi brevi momenti vengono fuori ingenuamente molti elementi che tolgono imprevedibilità al film e svelano alcuni aspetti che seppur non geniali dal punto di vista narrativo vengono meno. Da apprezzare però lo sviluppo del finale che prende in mano le redini della situazione e salva l’andamento del film che non supera mai la linea che divide il divertimento dalla noia pur arrivandoci molto vicino in qualche occasione.
I dialoghi sono molto infantili e denotano una capacità di scrittura degli sceneggiatori che quasi sempre non fa altro che riproporre frasi già sentite e discorsi tipici di alcune situazioni peculiari di film di questo tipo. Dialoghi che non sono supportati di certo da un montaggio sonoro che non ha nulla da dire se non dare risalto a scene drammatiche con gravi note di pianoforte per poi venir fuori in momenti casuali con musica elettronica.
Concludo il “corpo” principale della recensione dicendo che questo NON è un brutto film: sebbene tecnicamente non abbia grossi problemi e sembri essere scritto di fretta e senza un vero impegno nella scrittura dei dialoghi (la tensione invece cresce gradualmente per quasi tutto il film) è una pellicola come un’altra di questo genere. Interessante l’idea, interessanti i presupposti, ma con sviluppi prevedibili e “normali”.
Nota: ciò che sto per scrivere è una semplice considerazione estremamente personale che vuole riflettere su una tendenza che non gradisco particolarmente.
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