Il disprezzo: Godard e il cinema.

SCHEDA FILM
    • TITOLO: Il disprezzo (Le mépris)
    • DATA DI USCITA: 1963
    • REGIA: Jean-Luc Godard
    • SCENEGGIATURA: Jean-Luc Godard
    • TRAMA: 

Paul è uno sceneggiatore di teatro chiamato ad intervenire su una sceneggiatura di un film sull’Odissea affidato a Fritz Lang il quale lavoro non viene accettato dal produttore perché considerato anticonvenzionale. Scegliere se accettare o no di scrivere la sceneggiatura porterà non pochi problemi tra Paul e sua moglie, Camille.


Nota: non ho mai letto il libro di Moravia dal quale è stato tratto il film. Quello di cui parlerò nella recensione sarà esclusivamente relativo alla pellicola, non ho interesse nel discutere il suo rapporto con il libro (non avendolo letto, appunto).

Doveroso è iniziare questo articolo invitando ogni lettore a stare alla larga nella maniera più totale dalla versione italiana di questo film: un caso veramente assurdo di manipolazione da parte del produttore. Non mi soffermerò troppo in questa prima parte sulle differenze tra le due versioni; le farò presenti man mano che la recensione procederà e toccherà alcuni punti della pellicola.
Il disprezzo è innanzitutto un film sull’arte, sull’artista e sul lavoro dell’artista. Sebbene si parli di cinema, il film di Godard può tranquillamente essere visto in un’ottica molto più ampia ed estesa a diverse forme d’arte.

Nota: ironico il fatto che Godard stesso ebbe non pochi problemi con la produzione di questa pellicola.

Questo è il film più lineare che abbia visto del regista. La trama esiste, si svolge cronologicamente – tranne qualche brevissimo flashback – e procede in maniera cadenzata, rispettando quei famosi tre “paletti” che a scuola la professoressa sempre ricordava: inizio, svolgimento, conclusione.

Nota: nella versione italiana sono tagliati completamente i flashback, elementi caratterizzanti del montaggio del film che ancora una volta dimostrano la volontà del regista francese di sovvertire le regole classiche del cinema.

Attraverso una storia che racconta di come il processo creativo venga, a causa della committenza, crudelmente abbattuto – negando di fatto la figura dell’artista in quanto tale –, messa in scena con una sapiente gestione e ponderazione tra forma e sostanza – precisa, lucida, virtuosa a tratti, mai barocca – da parte di Godard, le vicende lavorative di Paul, intrecciandosi con i problemi da esse causati, diventano una splendida riflessione sul cinema.

Fulcro attorno al quale ruota il film è il rapporto tra i due protagonisti, che regalano tra l’altro una scena bellissima al centro della pellicola: una discussione piuttosto accesa tra i due che si muovono attraverso la casa, di stanza in stanza, fermandosi, coricandosi, rialzandosi, spostandosi continuamente e creando una sorta di “panoramica” del loro rapporto. Godard gira questa sequenza giocando con le simmetrie, i pieni e i vuoti, i carrelli laterali, i primi piani: insomma, una vera lezione di regia, che dovrebbe essere studiata da chiunque per capire come impostare un lungo dibattito senza ridursi ad infiniti campi e controcampi. Ogni frangente della discussione è sviluppato in stanze diverse, per poi concludere con una serie di carrelli lenti e alternati che riducono allo stesso tempo il tono del movimentato scambio di battute.

La messa in scena del film quindi è fantastica, fatta quasi esclusivamente dai tre colori primari e da un costante riferimento all’arte greca e romana. Statue presenti in casa, nella versione del film girato da Fritz Lang, sui libri, veramente ovunque.
La fotografia accentua inoltre due realtà diverse: quella romana, fatta di colori più spenti e grigi, simbolo dell’industria cinematografica che non guarda in faccia nessuno pur di guadagnare, e quella di Capri, fatta di colori accesi che giocano sulle tonalità dell’azzurro del cielo e del mare, con la sua costa verde e rocciosa, incontaminata: vera casa dell’arte.


Nota: la versione italiana appiattisce tutti i colori, mettendoli sullo stesso livello e annullando quindi questa fondamentale differenza. 


Se la Grecia è protagonista con le sue statue e la sua Odissea, anche Brigitte Bardot lo diventa in quanto statua della realtà, figura quasi divina e inarrivabile, oggetto del desiderio di chiunque; e Godard insiste su questo aspetto: viene inquadrata sempre con estrema grazia e si muove sullo schermo proprio come una dea: le pose che assume, il suo modo di comportarsi, le sequenze dedicate interamente a lei non fanno altro che creare un analogia e allo stesso tempo un contrasto con le opere d’arte che Lang ha inserito nel suo film proposto al produttore. Bellezza ideale e dark lady.


Nota: nella versione italiana la scena ad inizio film con i due protagonisti è stata tagliata.


Non voglio dire altro riguardo il film, ulteriori analisi – a mio avviso – svelerebbero più di quanto un lettore abbia bisogno prima di approcciarsi ad un film che mette insieme così tante cose da rendere difficile persino stilare una semplice lista. Ancora una volta, però, metto in guardia chiunque dalla versione italiana, priva di scene intere, con colori diversi, con musiche diverse (al posto delle splendide e contestualizzate composizioni di Georges Delerue abbiamo dei pezzi jazz…), con i personaggi parlanti tutti la stessa lingua (interessante avere in scena un protagonista tedesco, due francesi, uno americano e uno italiano – la traduttrice – il quale non fa altro che ripetere le parole di ogni protagonista come un pappagallo; ovviamente nella versione originale il suo ruolo era quello di mediatore tra i vari protagonisti. Sembra una barzelletta, vero?) e soprattutto con un finale diverso.
Da vedere e rivedere, per poter cogliere man mano tutte le citazioni e i piccoli frammenti lasciati da Godard nel corso del film, tra locandine, nomi famosi, citazioni e richiami. Un grande omaggio al cinema, tra i migliori in assoluto.

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