Barry Lyndon: Stanley Kubrick incontra il XVIII secolo.

Stanley Kubrick, Barry Lyndon, 1975, 185′.


È doveroso fare una lunga – si spera non tanto – introduzione a questo particolare capitolo della rubrica, che si differenzia dagli altri per motivi che spero di riuscire ad esporre il più brevemente possibile: Barry Lyndon è un “protagonista” privilegiato della rubrica Tra Cinema e Pittura, in quanto il suo rapporto con l’arte pittorica non è esclusivamente relativo all’omaggio (che pur è presente in più momenti), alla pedissequa riproduzione di un’opera, bensì ad una condivisione di canoni, stili e scelte visive.

Mi spiego meglio: Kubrick non si è limitato a riprodurre dei quadri; ha girato un film che rispecchia il modo di rappresentare (desunto proprio dalle opere d’arte di quel periodo) il mondo da parte degli artisti del XVIII secolo. Le sue scelte registiche dunque sono frutto di uno studio di un particolare periodo della storia dell’arte che lo ha portato a gestire l’impianto visivo del film in maniera peculiare. Sperando che le mie imminenti parole vengano prese per non di più che una semplice battuta, direi quasi che il regista ha girato un film allo stesso modo di come un pittore settecentesco avrebbe girato il suo, se ne avesse avuto la possibilità.  

Concludo questa introduzione con un paragrafo di carattere “strutturale” relativo all’articolo: a differenza dei precedenti capitoli della rubrica, che hanno trattato non più di 2 corrispondenze, questo ne presenterà ben 14 (escluse inquadrature e dipinti aggiuntivi!). Come detto sopra però, Stanley Kubrick non si è limitato al semplice omaggio, ma ha fatto sua l’ottica di un pittore del 1700. Ne consegue quindi che alcune “coppie parallele” (inquadratura-dipinto) da me selezionate potrebbero – giustamente – risultare non così tanto affini tra loro; faccio presente che ho deciso di sceglierle non per una questione concettuale (non c’è nulla da spiegare in ambito allegorico o metaforico riguardo queste corrispondenze – o quasi) ma puramente visiva/estetica. Il percorso che seguirò quindi non è schematico e non creerà un articolo strutturato secondo una sequenza binaria inquadratura-quadro; cercherò di creare qualcosa di quanto più unitario possibile riguardo al film e dedicandomi alle 14 opere attraverso delle vere e proprie didascalie, nella speranza di poter sviscerare (nei limiti del tipo di lavoro che sto facendo) il rapporto tra il film e la pittura dell’epoca mettendo in luce a grandi linee gli elementi fondamentali della pellicola e nel dettaglio quelli delle opere selezionte. Buona lettura.

Thomas Gainsborough, Paesaggio con uomini sul sentiero, 1746, olio su tela, 49×59 cm

Gainsborough è un pittore che dipinge molto velocemente, con pennellate rapide e colori – in questo caso – poco saturi, atti a restituire una vera e propria atmosfera. Il suo stile infatti non è così tanto attento alle regole accademiche ma alla riflessione sul colore e sulle vedute, da lui preferite di gran lunga ai ritratti e rappresentate con nessun intento particolare se non quello di esaltare la bellezza di un paesaggio. Una pittura di osservazione della natura e dell’uomo all’interno di essa e della sua grandezza.


Iniziare con questo olio su tela di Gainsborough aiuta l’introduzione di un elemento fondamentale del film: lo zoom (e, di conseguenza, i campi larghi). Moltissime sequenze infatti sono caratterizzate da lunghissime zoomate all’indietro che, partendo da piani ravvicinati sui personaggi, e iniziando a “dipingere” un ambiente, arrivano ad un tableau vivant nel quale l’uomo non è altro che un piccolo elemento inscritto in un vasto spazio naturale che lo abbraccia senza opprimerlo.

È quindi chiaro che il gusto per il paesaggio e la veduta sono fondamentali in Barry Lyndon. La sua macchina da presa traccia gradualmente un ambiente sempre più enorme, come in un vero e proprio processo pittorico tramite il quale alcune macchie di colore lentamente vanno a formare l’opera definitiva. Proprio sulla base di ciò si può interpretare inoltre la fissità dei personaggi in molte sequenze del film. Dei veri e proprio falsi fermo-immagine nei quali i personaggi sembrano essere letteralmente in posa per un dipinto.

Johan Joseph Zoffany, David Garrick e sua moglie presso il suo Tempio di Shakespeare ad Hampton, 1762, olio su tela, 109.9 x 134.6 cm, New Haven, Yale Center for British Art, Paul Mellon Collection.
John Constable, Malvern Hall, Warwickshire, 1809, olio su tela, 514 x 768 cm, Londra, Tate Britain.

Il suo stile, fatto di pennellate veloci e applicazione del colore in maniera innovativa, fa di Constable un pittore anticipatore dell’impressionismo. Il dipinto, in linea con la sua preferenza per luoghi naturali in comunione con elementi costruiti dall’uomo, coglie un momento di quiete, di calma. A differenza di molti suoi coetanei (artisticamente parlando) lui predilige una pittura vera, lontana da idealizzazioni e artifici tipici del periodo. I suoi paesaggi sono esattamente come ciò che vede, nella loro bellezza reale. Ancora non si parla di vero e proprio impressionismo, ma di una miscela che gli si avvicina.


Proprio per questo Constable è un artista fondamentale per l’opera di Kubrick: il suo realismo fornisce al regista delle vere e proprie inquadrature già pronte che enfatizzano il cielo (fondamentale – a livello compositivo – per il pittore) e la pace di un luogo nel quale l’uomo vive sereno. Non a caso, quando le cose si complicheranno per il protagonista, l’inquadratura muterà la sua “forma“:

George Stubbs, Molly gambe lunghe, 1762, olio su tela, 101 x 126.8 cm, Liverpool, Museo nazionale di Liverpool.

Stubbs è famoso per le sue opere raffiguranti animali, in particolare cavalli. Questo si trasforma – ovviamente – in un forte interesse per l’aspetto anatomico dei suoi soggetti. Un’attenzione che quasi copre il resto del dipinto (pur eccezionalmente dettagliato) e lo scudiero alla sua destra. Un’esaltazione della figura animale, cifra stilistica molto strana se rapportata alle altre opere qui trattate. Sta di fatto che la cura per la luce che definisce la muscolatura del cavallo – colpendo il pelo – è tecnicamente eccelsa.


La costruzione di un contesto credibile è data ovviamente anche (e soprattutto) dai costumi. Molti infatti sono i riferimenti (non solo artistici) grazie ai quali l’estetica del film vanta una qualità incredibile, dai costumi dei contadini a quelli dei militari. Troppi sono i ritratti potenzialmente selezionabili, ne sarà trattato qualcuno:

Thomas Gainsborough, Conversazione in un parco, 1747, olio su tela, 73 x 68 cm, Parigi, Museo del Louvre.
Thomas Gainsborough, Ragazzo blu, 1770, olio su tela, 177.8 x 112.1 cm, San Marino (California), Huntington Library.

Ancora Gainsborough, trent’anni dopo il dipinto del quale si è parlato sopra. I colori si fanno forti, le pennellate veloci e taglienti, il ritmo diagonale del panneggio e dello sfondo si fa forte e deciso. Il paesaggio dietro è quasi un’astrazione. Il pittore si allontana dai modi canonici e dalla delicatezza e morbidezza del suo “rivale” Joshua Reynolds per rappresentare un ragazzo vestito di un colore intenso con colpi di luce spigolosi che portano bruscamente la paletta di colori dal blu scuro al bianco puro. La resa accademica lascia ancor di più lo spazio ad un ambiente che vuole fare perno sull’emozione e sul movimento piuttosto che sulla semplice rappresentazione di un soggetto.


Joshua Reynolds, Capitano Robert Orme, 1756, olio su tela, 239 x 147 cm, Londra, National Gallery.
Joshua Reynolds, Lady Skipwith, 1787, olio su tela, 128 x 102, New York, The Frick collection.
Joshua Reynolds, Sarah Campbell, 1777-78, olio su tela, 127.6 x 101.6, New Haven, Yale Center for British Art, Paul Mellon Collection.

Oltre all’incredibile qualità tecnica dei lavori di Reynolds c’è da sottolineare la morbidezza della sua pennellata – soprattutto negli ultimi lavori – e il candore (a volte causato dal deterioramento dei suoi dipinti in seguito a dei processi di natura chimica dovuti ai materiali utilizzati) e nobiltà dei suoi soggetti. Il pittore infatti ha dato alla ritrattistica un nuovo respiro, mettendo i committenti in pose esaltanti e richiamanti al classicismo. Così facendo il ritratto, considerato un’arte minore rispetto alla più grande pittura storica, assume un nuovo valore, portando l’artista ad essere riconosciuto come il più grande ritrattista inglese della sua epoca. Le sue pennellate sono veloci ed esaltano particolarmente i panneggi che diventano vibranti e ricchi di sottili tagli di luce che accentuano le pieghe. Gli sfondi inoltre sono spesso legati al soggetto e accompagnano il suo carattere o ciò che vuole essere comunicato attraverso il suo ritratto. Proprio grazie a questi elementi Reynolds riesce a dare un valore incredibile a questo tipo di rappresentazione, idealizzando e costruendo quanto basta per elevare i suoi protagonisti a più di una mera rappresentazione realistica.


William Hogarth è stata certo una delle principali fonti di ispirazione per Kubrick, soprattutto per le sue opere estremamente taglienti ed accentuanti la vita sfrenata e lasciva degli uomini benestanti del tempo. La parabola di Barry Lyndon perfettamente si sovrappone a questo concetto: da un certo punto in poi della pellicola, infatti, più volte l’influenza della pittura di Hogarth si fa sentire nelle inquadrature. Tratterò solo alcuni dipinti del pittore tratti dalle sue due serie più importanti: La carriera di un libertinoMatrimonio alla moda (titoli che, tra l’altro, sono facilmente accostabili ad alcuni momenti della vita di Edmond Barry nel film).

La carriera di un libertino racconta – in 8 opere – le avventure di Tom Rakewell, dal momento in cui eredita da un ricco e avaro mercante sino alla sua fine in un manicomio. Sostanzialmente (con le dovute differenze) è ciò che accade a Redmond nel secondo capitolo del film. Il suo declino è graduale e sempre più marcato, e la gestione dei tempi e del ritmo non manca di mettere in luce questo fattore che lentamente fa percepire allo spettatore la sensazione di caduta nel baratro di un personaggio che si è distrutto allo stesso modo di come si è costruito.

William Hogarth, La carriera di un libertino: la taverna, 1734, olio su tela, 62.5 x 75.2, Londra, Sir John Soane’s Museum.

In questo pezzo della serie il libertino – sulla destra – è ormai ubriaco (non si rende conto che stanno rubando lui l’orologio, per esempio) e quasi si confonde nella confusione generale della scena. Egli si è impadronito della lanterna e del bastone del proprietario della taverna e insieme al suo seguito ne ha ormai preso possesso. Sul fondo un personaggio femminile sta dando fuoco ad una mappa e alla sua sinistra – sulle pareti – sono appesi dei quadri con ritratti di imperatori romani. Tutti hanno il volto strappato eccetto uno, Nerone. Ovviamente il richiamo al folle imperatore romano non è casuale e non fa altro che accentuare la condizione malata del protagonista della serie e allude al suo imminente declino. I volti sono quasi caricaturali, molto espressivi, così come i gesti accentuati e vistosi. L’intento di Hogarth è appunto quello di ironizzare sulla condizione alla quale il denaro ha portato quest’uomo e sulla vita altolocata in generale. Riflessione che sarà presente anche nella successiva serie di opere.


Il London Daily Post and General Advertiser nel 1743 pubblica il seguente annuncio:

Mr Hogarth intende pubblicare per per sottoscrizione sei stampe da lastre in rame, incise dai migliori maestri di Parigi, tratte i suoi dipinti; esse rappresentano diversi eventi di vita moderna dell’alta società, e sono chiamate Matrimonio alla moda (Marriage a la Mode). Particolare attenzione sarà presa, che non esista la minima obiezione alla decenza o all’eleganza dell’intero lavoro e che nessuno dei personaggi debba essere preso sul personale. La sottoscrizione sarà una guinea, metà da pagare per la sottoscrizione e l’altra metà alla consegna delle stampe, che saranno pubblicate con tutta le velocità possibile, poiché l’autore sarà determinato ad impegnarsi in nessun altro lavoro fino a quando non sarà completato.

Questa serie di opere (sei in tutto) vuole invece riflettere sul declino di un matrimonio nato per puro interesse e sulla sua disgregazione. Anche qui Kubrick ha saputo egregiamente cogliere l’ironia di Hogarth e farla sua per costruire la seconda metà del suo film proprio su questo aspetto dell’alta vita.
Queste opere quindi non narrano di un dramma in maniera enfatica e carica, ma lo fanno con un certo distacco e cinismo. Nulla di più adatto a descrivere la figura del regista del quale si sta parlando. Il distacco e l’asetticità di questo autore sono uno dei suoi principali tratti distintivi, che si manifestano in Barry Lyndon nella descrizione e nel racconto della vita di un uomo e di una famiglia attraverso una lente fredda che però ne mette in risalto il lato ironico (seppur estremamente amaro).

William Hogarth, Matrimonio alla moda: il contratto, 1787, olio su tela, 69.9 x 90.8, Londra, National Gallery.

L’ironia di Hogarth è forte già dal primo pezzo della serie: i due futuri sposi sono a sinistra, non si parlano, il loro matrimonio è combinato (anche i due cani sulla sinistra sono tristemente uniti da un collare), non hanno alcun interesse se non quello economico (una delle due famiglie ovviamente è la più ricca; il signore a destra, per esempio, ostenta la sua ricchezza e il suo albero genealogico in maniera molto vistosa e prepotente). Mentre vengono firmate delle carte per sancire l’unione, in questa sontuosa stanza, ciò che si percepisce è la totale assenza di contatto effettivo tra i personaggi. La futura sposa gioca addirittura con la fede in un fazzoletto. Anche qui il tratto tende all’esaltazione di lineamenti e gesti, rendendo tutt’altro che nobili le figure rappresentate. 


William Hogarth, Matrimonio alla moda: la mattina, 1743, olio su tela, 68.5 x 89 cm, Londra, National Gallery.

Gli sposi sono nella loro casa, dopo una notte di baldoria che hanno indubbiamente passato separati. Lui, sulla destra, con lo sguardo perso e visibilmente senza forze si abbandona completamente; lo spadino spezzato, il cane che gioca con la cuffia, i suoi effetti personali a terra. Alla sua destra la moglie che, sorridendo, nell’atto di sgranchirsi, fa intuire che ha passato una “bella” nottata. La stanza è sottosopra, violini e spartiti, un mazzo di carte sparso per terra, un servo nell’atto di mettere tutto in ordine. A sinistra il maggiordomo sta uscendo con dei conti tra le mani. La scena ha un tono drammatico, che vuole sottolineare l’inizio del disfacimento di un rapporto mai realmente formato. I due sono più divisi che mai, la casa stessa ne risente, il tratto di Hogarth spinge sui volti e restituisce delle espressioni che parlano da sole.


Si passa ora ad un aspetto del film che ha contribuito fortemente a renderlo visivamente incredibile: la fotografia. L’utilizzo della luce in Barry Lyndon è studiato alla perfezione, sfruttando la luce naturale quale unico strumento per creare una paletta cromatica di una bellezza più unica che rara. Anche qui Kubrick (e, ovviamente, il suo staff) sfrutta il suo studio per l’arte del XVIII secolo per gestire un impianto luministico basato su sperimentazioni e studi pittorici sulla luce.

La bellezza della fotografia di Barry Lyndon è uno dei principali motivi per i quali il film sembra essere una successione cadenzata di dipinti. L’enorme ricerca bibliografica operata da Kubrick da i suoi risultati in ogni singola inquadratura, permeata spesso e volentieri da luci generate da candelabri disposti con particolare perizia. Ne consegue un risultato chiaroscurale incredibile, che dipinge i volti dei protagonisti di tonalità calde e soffuse che si rifanno a pittori quali Joseph Wright of Derby.

Joseph Wright of Derby, Penelope disfa la sua tela, 1783-84, olio su tela, 106 x 131.4, Los Angeles, The J. Paul Getty Museum.

Joseph Wright of Derby in questa tela crea un’atmosfera particolare, malinconica, accentuante l’empatia con Penelope che, guardando Telemaco, è illuminata insieme a lui da una luce che oscura il resto dell’ambiente (anche la statua di Odisseo) e mette in risalto l’incarnato dei personaggi, lo sguardo di lei e il gesto di disfare la tela. Al di là dell’importanza concettuale che può avere l’opera è importante soffermarsi sul grande uso della luce e sui forti effetti chiaroscurali da essa creati. Dal panneggio al pallore della pelle ai colori smorzati delle vesti, tutto è definito da questa calda luce che sembra dipingere attivamente le figure.



Senza addentrarsi inutilmente in interpretazioni relative all’opera non inerenti all’articolo vorrei porre l’attenzione sulla composizione dell’inquadratura e soprattutto dell’opera, che mescola sensazioni neoclassiche (la purezza della veste e il volto classicheggiante di lei) ad altre più cupe e oscure. Così come il bianco lenzuolo e il vestito di Lady Lyndon contrastano fortemente con il suo dolore e le sue urla,allo stesso modo nell’opera di Füssli i colori chiari e scuri si scontrano. Ancora una volta è la luce a definire le forme e i volumi, ad accentuarli e smorzarli, a mostrare e nascondere.


Barry Lyndon è un’opera immensa, da ammirare e vivere; non c’è nessuna critica da muovere al film. Il progetto è qualcosa di estremamente preciso e sentito, un vero e proprio omaggio al XVIII secolo espresso in ogni singolo elemento della pellicola. L’ossessiva attenzione di Kubrick per i dettagli ha fatto in modo che tutto ciò diventasse realtà. Alcune lenti utilizzate del regista furono progettate per la NASA ed usate su un’esclusiva macchina da presa utilizzata per il film per girare le sequenze a lume di candela (sequenze girate nell’arco di molto tempo. Ogni scena veniva girata dalle 10 alle 30 volte – con conseguente cambio di tutte le candele dopo ogni ripresa). La minuziosità di Kubrick fu quindi determinante per la buona riuscita di quest’opera incredibile.

Concludo scrivendo che molte opere e molte inquadrature sono state “tagliate” da questo articolo. Ciò per questioni relative ad una volontà di mantenere un certo ordine e non ridursi a sovrapporre un’accozzaglia infinita di immagini. Questo vuole spingere (o semplicemente consigliare) qualunque lettore abbia avuto la forza fisica di arrivare alla fine di questo articolo e che senta di aver tratto qualcosa da esso a guardare e riguardare il film, ad analizzarlo e magari a scovare qualcosa che, al 100%, è sfuggita a me.

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