SCHEDA FILM
- TITOLO: Sonatine
- DATA DI USCITA: 1993
- REGIA: Takeshi Kitano
- SCENEGGIATURA: Takeshi Kitano
- DURATA: 94‘
- TRAMA:
Il capo di una gang yakuza, Murakawa, stanco della sua vita da criminale, ottiene l’incarico(l’ultimo della sua attività da yakuza) di sedare una lite tra due gang rivali, ad Okinawa. Una serie di complicazioni e trappole porteranno Murakawa a rifugiarsi con i suoi in una casetta sulla riva del mare, dove trascorreranno delle giornate fatte di giochi, scherzi, in attesa della resa dei conti.
Il solito film di Yakuza, verrebbe da dire. Peccato che a scriverlo e dirigerlo è stato Takeshi Kitano, uno dei registi giapponesi più importanti di questa generazione e di tutta la storia del cinema. Parlare quindi di “solito” con questo cineasta è praticamente impossibile, in quanto l’artista di cui si parla è un re-inventore di generi, dei suoi stessi film addirittura; i suoi tratti distintivi vengono fuori in maniera preponderante nelle sue pellicole senza però dare mai l’impressione di “già visto”.
Elemento più importante del film è indubbiamente la figura di Murakawa (interpretato da Takeshi Kitano nel film), personaggio estremamente complesso e difficile da decifrare data la sua quasi totale assenza di dialoghi (e soprattutto la sua mono-espressività) e la sua condizione di ambiguità che lo fa apparire come un killer spietato privo di emozioni, che sa però dare affetto a chi lo ama, e che sa inoltre regalare – e regalarsi – momenti di puro e demenziale divertimento.
Proprio quest’ultimo punto è da sottolineare per riprendere il concetto di “storia strana e alienante”: la parte centrale del film è sospesa nel tempo e nello spazio, ambientata in una capanna sulla spiaggia nella quale Murakawa e i suoi si intrattengono con balli, scherzi e giochi “divertenti” (sempre che il gioco della roulette russa possa essere inteso come tale). In questo frangente Kitano si mostra completamente al pubblico, concentrando in un lasso di tempo di circa mezz’ora di girato tutta la sua poetica: gli scherzi del capo della gang, la morte affrontata in maniera impassibile e allo stesso tempo con paura (proprio in virtù di questo ho sopra sottolineato la complessità del personaggio), il contatto con una donna che funge da figura materna e da “macchina del tempo” per ritornare bambini.
Il ricordo dell’infanzia si fa strada voracemente nelle opere del regista nipponico, ossessionato da un ritorno ad una condizione primigenia dell’esistenza, nella quale tutto è visto con occhi diversi, non essendo affannati da situazioni e contesti prettamente adulti. Proprio per questo la scelta di ambientare queste scene in riva al mare è indispensabile a decontestualizzare ed alienare la figura dello yakuza dalla “solita” città dei “soliti” film (e anche – purtroppo – dei “soliti” contesti reali) giapponesi. Il contatto con la natura diventa un momento di regressione – nel senso buono e puro del termine – che porta gli yakuza più anziani e quelli più giovani ed inesperti a confrontarsi con se stessi e con la loro condizione di essere umani.
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