SCHEDA FILM
- TITOLO: Hard to be a God (Trudno byt’ bogom)
- DATA DI USCITA: 2013
- REGIA: Aleksei German
- SCENEGGIATURA: Aleksei German, Svetlana Karmalita
- DURATA: 177′
- TRAMA:
Un gruppo di scienziati terrestri viene mandato su un pianeta vicino per aiutare le civiltà locali – ancora in una fase medievale della loro evoluzione – a progredire; non possono però intervenire attivamente sullo sviluppo di queste società. Rumata, uno degli scienziati, tenta di salvaguardare gli intellettuali finendo per prendere posizione nelle continue lotte del regno di Arkanar.
La camera a mano è sempre posizionata ad altezza d’uomo e si muove come se il regista non fosse altro che parte di quella miriade di personaggi presenti sulla scena: spesso infatti diversi individui si fermeranno a guardare direttamente nella cinepresa, rompendo la quarta parete e ricordando costantemente che il regista e lo spettatore sono un’unica entità, nella grandissima accozzaglia di sudiciume che è Hard to Be a God. Una sensazione di oppressione sarà continua durante la visione in quanto il regista/protagonista/spettatore si muove in spazi strettissimi, tra molte persone che lo spingono, lo spostano, lo tirano e, d’altra parte, si comportano come se non ci fosse: non è raro infatti vedere una mano spuntare vicinissima alla macchina da presa nell’atto di afferrare un oggetto o di lanciarlo.
Il bianco e nero è splendido e confonde la grossa quantità di oggetti in scena che diventano delle sagome piuttosto che dei veri e propri corpi riconoscibili. I liquidi gocciolanti e il cibo stantio si confondono con l’urina e le feci, con la pioggia e la carne morta, presente ovunque in un luogo che, paradossalmente, potrei definire “abbandonato da Dio”. Di chiaroscuri così belli se ne vedono davvero pochi.
German vuole che lo spettatore entri come non mai nella scena, in questo medioevo estremamente lurido, viscido e fetido, tra questi personaggi bizzarri, grotteschi e sporchi, e nella vita di Rumata il quale si trova ad avere a che fare con una società e un mondo dove il forte sopprime il debole (non a caso sono i bibliotecari e gli intellettuali ad essere decimati sotto le armi di signori che fondano il loro potere sulla forza bruta) in un progressivo decadimento che non permettere agli uomini di progredire.
Un dio quindi, Rumata, che non può far altro che guardare e tentare velatamente di tenere a freno la furia di una popolazione barbara e incivile, di mettere al suo servizio un bibliotecario, di dare un ordine al caos. Tentativi che ovviamente non portano a nulla e spingono lo scienziato ad agire (incredibile la scena nella quale il bibliotecario da lui salvato si rivela essere nient’altro che un uomo allo stato brado, incapace addirittura di urinare autonomamente).
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Ti faccio domande, tu non rispondi. Ti ho chiesto: “Cosa faresti se fossi Dio?” |
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Direi… Creatore! Dai alle persone ogni cosa che li separa. |
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Direi, punisci il crudele così che il forte saprà non essere crudele. |
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Se esisti, spazzaci via come polvere! |
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Distruggici tutti! Tutti. |
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È facile distruggere tutto. |
Hard to Be a God vuole quindi riflettere sul ruolo di Dio verso un’umanità la quale altro non fa se non autodistruggersi senza farlo mai completamente. L’uomo non si annienta del tutto, continua semplicemente a mutilarsi, ancora e ancora. Rumata, “dall’alto” del suo ruolo su Arkanar, si rende conto che non c’è nulla da fare per un dio – se non la totale distruzione – in un luogo nel quale la lotta tra debole e forte non cessa di rinnovarsi. Distruggere i forti porta ad una nuova selezione di forti tra le fila dei deboli, con conseguente inizio di una nuova, sanguinosa guerra.
Nota: apprezzo tantissimo il fatto che Hard to Be a God sia un racconto che parla della società odierna attraverso una popolazione futuristica che agisce in un ambientazione del passato. Questa mescolanza di presente, passato e futuro è sostanzialmente un modo per elevare tutto ad una riflessione universale sul mondo.
C’è un’ultima cosa della quale voglio parlare (anche se “accennare” sarebbe il termine più adatto) per poi concludere questa recensione che ho cercato di rendere più fluida e lineare possibile, sebbene mi renda conto di non esserci riuscito granché: Rumata suona più di una volta un clarinetto (o quello che sembrerebbe essere un clarinetto), in due “sezioni” particolari del film: oggetto che non ho assolutamente sottovalutato ma la quale interpretazione non ritengo debba essere presente in questo articolo; l’ho formulata sulla base di pensieri molto personali e per non condizionare in alcun modo gli eventuali lettori a riguardo preferisco semplicemente sottolineare che a mio avviso è un elemento fondamentale del film, sul quale riflettere. Magari non sono il solo a pensarlo.
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