La ruota delle meraviglie: colori in fiamme e film spento.

SCHEDA FILM

  • TITOLO: La ruota delle meraviglie (Wonder Wheel)
  • DATA DI USCITA: 2017
  • REGIA: Woody Allen
  • SCENEGGIATURA: Woody Allen
  • DURATA: 101
  • TRAMA: 

Coney Island: un’ex attrice (Ginny) sposata con un giostraio (Humpty) e che lavora come cameriera si invaghisce di un bagnino (Mickey) appassionato di teatro e aspirante commediografo. L’arrivo della giovane figlia (Carolina) di Humpty (avuta da un precedente matrimonio), in fuga dal suo ex marito gangster, complica il rapporto tra i protagonisti.

È praticamente impossibile introdurre quasi ogni film di Woody Allen degli ultimi 20 anni senza fare una premessa trita e ritrita che certamente ognuno avrà letto decine di volte e che probabilmente non avrà voglia di leggere anche in questa sede. Abbandonare quindi l’”incipit” dedicato alla rapidità di produzione e alla ripetizione ossessiva di alcuni temi/strutture da parte del regista (seppur con esiti spesso molto soddisfacenti) è probabilmente un buon punto di partenza per approcciarsi a La ruota delle meraviglie in maniera più sincera già dall’inizio dell’articolo.

I personaggi alleniani sono caratteristici come sempre: perfettamente delineati, incarnanti di veri e propri topoi, e interpretati da un cast incredibile come solo si è visto nei film del regista americano. Spiccano di certo la coppia Belushi-Winslet sulla quale davvero poco c’è da dire: da una parte un’interpretazione carica e focalizzata sulla resa di un personaggio sconfitto dalla vita, semplice, buono, il quale cerca un punto di equilibrio nella sua esistenza nel quale vivere serenamente; dall’altro un personaggio estremamente complesso seppur chiaro (merito di una limpidità di scrittura propria dell’autore) nelle sue nevrosi.
Gli altri due personaggi principali, pur non dando prova di chissà quale interpretazione dimostrano di reggere molto bene la scena. Menzione d’onore per il figlioletto di Ginny, che rappresenta la parte più ribelle del piccolo Woody Allen che, non a caso, in  Io e Annie, fa dire al suo alter-ego di esser cresciuto proprio in una casa identica a quella messa in scena in questo film. Unico suo interesse è il cinema; per il resto, vorrebbe vedere solo il mondo bruciare!

Avvalendosi della fiabesca fotografia di Vittorio Storaro, tra luci sature e cangianti, Allen mette in scena un film estremamente teatrale, con ampi e profondi fondali e individui irradiati da luci innaturali e legate alle loro emozioni: il passaggio dal rosso al blu e dal sovraccarico di colori alla desaturazione sono strumenti attraverso i quali le immagini, come dei narratori fuori campo, raccontano i sentimenti di personaggi che comunicano spesso e volentieri attraverso dei monologhi piuttosto che dei dialoghi.

La pulita regia è oramai un marchio di fabbrica del newyorkese, che da Cafè Society si avventura inoltre in qualche movimento di camera a mano e in grandangoli che dilatano lo spazio sul quale la definita tecnica di ripresa digitale può operare in maniera ottimale. Se questo “sfruttamento” del dettaglio è – da un lato – un elemento a favore di una messa in scena volutamente artificiosa e a tratti barocca, si rivela essere – dall’altro – una delle principali zavorre che contribuiscono all’affondare dell’opera.
Un fortissimo contrasto impedisce al film di spiccare il volo. Se da un lato la protagonista ricorda il personaggio interpretato da Cate Blanchett nel bellissimo e tragico Blue Jasmine, e diversi altri elementi portano la mente a pensare al meraviglioso e malinconico Crimini e misfatti, la posizione assunta da un film così carico nella messa in scena e così “cupo” nella sostanza è quella di chi non ha le idee ben chiare e si lascia sopraffare dalla luccicante prospettiva di un aspetto scenografico così accattivante.
Ne viene fuori un film che non tiene il ritmo all’altezza e si dimostra stanco nel suo procedere, insistente negli infiniti dialoghi e a tratti fastidioso nel suo luccichio che risulta, alla lunga, forzato e fuori luogo.
La ruota delle meraviglie è totalmente privo di momenti comici à la Woody Allen: questo di certo non è un problema non essendo la prima volta che l’autore ha a che fare col dramma – totale in Blue Jasmine; bilanciato perfettamente con la comicità in Crimini e misfatti (e in molte altre pellicole che possono tranquillamente far parte di questo esempio) –. Alla luce di questo non è accettabile per lo spettatore trovarsi davanti ad un comparto visivo così saturo, ricco, colorato, pieno zeppo di orpelli e allo stesso tempo ambiente di drammi puri e privi anche della più triste risata (ossimoro voluto). Il regista abbandona la comicità per dedicarsi al disegno di un’umanità che solo lui così sa disegnare per poi colorarlo in una maniera che poco enfatizza tale impostazione.

Tornando brevemente sugli altri due film del regista nominati fino ad ora: Blue Jasmine è un film realmente blu. Non c’è nulla da ridere, non si ha mai la sensazione che da un momento all’altro la protagonista guardi in camera facendo qualche divertente battuta sulla sua condizione.
In Crimini e misfatti invece c’è una netta separazione tra le due storyline principali: una comica e l’altra tragica. Questa chiara distinzione fa sì che lo spettatore riesca a ridere delle battute del personaggio “comico” e riesca a provare empatia col il personaggio “drammatico” del film.

In sostanza quello che questi due film fanno è porre delle premesse che vengono rispettate sia sul piano formale che concettuale. Solo grazie a tale solidità lo spettatore acquisisce consapevolezza verso la pellicola.


L’enorme correzione del colore in post-produzione, la fotografia estremamente lucida, rifinita e levigata, i grandangoli e la scelta delle musiche non hanno nulla a che vedere con il tono che il film – in teoria – dovrebbe avere. Il dramma non si consuma mai realmente, una grossa lite non risulta credibile in un mondo così patinato e fiabesco, i dialoghi diventano noiosi, il montaggio un mero accostamento di scene.

Questo forte scompenso tra la giocosa e satura fotografia di Storaro e i drammatici intenti di Allen, affonda un film che può essere apprezzabilissimo sul piano visivo e sul piano narrativo ma che, purtroppo, non riesce a far coesistere queste due realtà.
Beninteso, non si critica assolutamente la capacità di scrittura di uno dei più grandi sceneggiatori di sempre e soprattutto non si critica l’immensa bravura di questo magnifico direttore della fotografia. È importante però cercare di riflettere su come i diversi elementi costitutivi di un’opera dialoghino fra loro e su come l’uno valorizzi l’altro: quando ciò non avviene ognuno di loro perde di valore e ognuno svilisce l’altro.


Nota: sento quasi il dovere di chiudere la recensione con questa postilla, per chiarire maggiormente la mia posizione verso l’opera. La ruota delle meraviglie è un film che non mi è piaciuto, ma che non ha quasi nulla di diverso rispetto ad altri film del regista che non mi sono piaciuti. Ritengo che artisti di questo calibro non sappiano creare qualcosa di realmente scadente: piuttosto si ha a che fare con opere che, in relazione ad altri pezzi che hanno fatto la storia di quell’artista e dell’arte tutta, risultano estremamente svilite. Non è un film che sconsiglio di vedere nella maniera più assoluta: lo “inserisco” in quella cerchia di film del regista da vedere solo in virtù di una volontà di completare la sua filmografia; evitabile quindi da chi non nutre particolare interesse verso l’artista. D’altra parte però molti spettatori, avvicinandosi a lui per la prima volta con La ruota delle meraviglie potrebbero rimanere molto sorpresi e compiaciuti – successivamente – della visione dei suoi capolavori (come il già citato Crimini e misfatti, Io e Annie, e tutti gli altri immensi film usciti fuori dalla mente di questo geniale newyorkese) i quali, in un modo o nell’altro (e soprattutto meglio), riprendono alcuni elementi propri anche di questa pellicola. Il solo pensiero che continui a sfornare un film ogni anno però non può che far felice un adoratore del regista come me. Spero con tutto il cuore che continui a sfornare un film all’anno e che continui a deliziare le sale con film che, seppur considerati non a livello dei suoi grandi prodotti (parliamo di un vecchietto che ha appena compiuto 82 anni e che ha una freschezza nella scrittura inumana!), risultano essere delle perle di inestimabile valore. Meglio avere 48 suoi film che 47, no?

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