SCHEDA FILM
- TITOLO: Morgenrøde
- DATA DI USCITA: 2014
- REGIA: Anders Elsrud Hultgreen
- SCENEGGIATURA: Anders Elsrud Hultgreen
- DURATA: 70′
«Sono stato mandato». Questo dice uno dei due personaggi di questo film all’altro: un emissario dunque. Mandato a fare cosa? Da chi? Verso quale meta? Per quale motivo?
Una fotografia bluastra e monocromatica fa da padrone nel lungo peregrinare di un uomo in un infinito deserto. Non un bianco e nero trascendente bensì un blu, glaciale e desolato. Il mondo nel quale questi uomini si muovono è, infatti, un mondo arrivato al suo capolinea e non prossimo alla nascita (un preciso momento, palesa questa condizione; un momento di grande lirismo).
Con l’avanzare del minutaggio viene fuori una straniante reiterazione (accentuata da immagini fortemente sghembe e inclinate che fanno sembrare il percorso dell’uomo un continuo salire e scendere dalla stessa montagna e un montaggio fondato sulla simmetria delle stesse azioni nel corso di diverse giornate) che amplifica la sensazione di spaesamento da parte dello spettatore il quale diventa automaticamente specchio delle sensazioni di queste anime vaganti, nulle e nel nulla.
Ci si perde dunque all’interno di gesti ripetuti (i cerchi che il credente traccia ogni notte a terra con dei piccoli idoli di pietra; gli incubi di vortici e fumo; la preghiera) in questa terra oramai avvelenata: l’acqua, l’elemento fondamentale per la vita, non può essere bevuta. Il nichilista affresco dipinto da Anders Elsrud Hultgreen non sembra lasciare scampo ai due uomini sulla scena: da una parte la forza trainante della fede di un uomo che nonostante tutto continua a pregare il suo dio; dall’altra la forza trainante della sopravvivenza animale di chi non crede più a niente e lancia addirittura i piccoli idoli di pietra (alla fine del loro viaggio) contro un’enorme roccia, santuario davanti al quale entrambi sono posti e che, una volta raggiunto – fuori dall’inquadratura (si noti questo particolare) – reagisce lasciando sgomento il miscredente. Non c’è nulla per lui in quella roccia: il suo viaggio è nullo. Il fedele, colpito più volte e privato dei suoi idoli, non può fare altro che rimanere al suolo, orfano anche di quella speranza che fu l’unico suo appiglio nel corso dell’estenuante viaggio.
La totale assenza di qualunque sentimento che non sia la diffidenza fa scontrare gli unici due (a quanto pare) esseri viventi rimasti sulla terra persino nel momento della fine, quando nient’altro è rimasto se non la fede e l’istinto. Asciugando totalmente la pellicola e portandola ad una condizione di assoluta semplicità formale, il regista imprime una carica espressiva alla sua opera tale che ogni inquadratura e ogni suono (da sottolineare l’accompagnamento sonoro che si potrebbe definire “ancestrale”) diventano portatori di sensazioni di incredibile purezza. Un paradosso curioso, invero: purificare totalmente la propria opera al fine di conferirle una potenza espressiva priva di filtri, atta però – è qui che il tutto diventa curioso – alla rappresentazione di un mondo e di un era oramai annichilita.
Rispondi