Elegia moscovita (Moskovskaya elegiya, 1987, 88′) – Aleksandr Sokurov.
La sua voce accompagna lo spettatore attraverso una serie di filmati, estrapolati da film e documentari, inediti e non. Non c’è nulla – però – di documentaristico in tutto ciò: Sokurov mette in scena la propria visione del regista, con una dolcezza e riverenza disarmanti: la voce di Tarkovskij è modificata, sembra provenire da un luogo lontano, accompagnata da un timido pianoforte che fa lui da contrappunto. Il regista ci invita ad osservare l’autore de Lo specchio, i suoi atteggiamenti; il tono della sua voce. Cerca di trasmettere in maniera più sincera possibile i suoi sentimenti verso una figura che fu fondamentale per lo sviluppo della sua arte.
Veramente poco altro c’è da dire riguardo quest’opera, così apparentemente istintiva e così fortemente sentita. La sensazione è quella di stare vicino al camino, insieme a Sokurov, ascoltandolo parlare di Tarkovskij man mano che vari frammenti della sua vita passano sullo schermo. È il ricordo di un caro amico, davvero nulla di più. Un amico (e ciò che – sul piano materiale e non – ha lasciato su questo mondo) trattato con infinito rispetto, attraverso un racconto la cui malinconia non riesce a essere trattenuta e anzi diventa elemento fondante di tutta la pellicola.
Andrej Tarkosvkij ha lasciato grandi capolavori alla storia del cinema, grandi insegnamenti ai futuri cineasti; non solo. Ha lasciato un albero alla Terra.
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«Ecco un albero. Andrej Tarkovskij lo piantò qualche anno fa.» |
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