Il nitore del ghiaccio come la Madonna Sistina di Raffaello.

 

Loveless (Nelyubov, 2017, 127′) – Andrej Zvjagincev.


Fa veramente freddo all’interno di Loveless. Quel freddo di un luogo senza vento, quello che entra nelle ossa e paralizza; forse è per questo che il regista non si avvicina mai ai suoi personaggi ma li osserva da dietro delle finestre, vetrate, corridoi: egli non vuole essere congelato da loro e dal freddo che si portano dietro.
Certo, non sono solo loro ad avere quest’aura attorno; anche la Russia è così, con i suoi “figli”, con Andrej Zvjagincev, e forse è per questo che il regista non si muove troppo dietro la macchina da presa, preferendo delle inquadrature estremamente solide nelle loro geometrie: gabbie ortogonali che non lasciano via di fuga ai suoi vuoti manichini attratti dal denaro e dalle foto ai piatti di un ristorante da pubblicare sui social network.
 
Loveless è la storia di un uomo – il cui principale interesse è quello di avere una famiglia tradizionale senza la quale perderebbe il lavoro a causa di un datore di lavoro tradizionalista – e una donna – il cui principale interesse è quello di stare appiccicata al suo smartphone –, molto giovani, sposati e con un figlio di 12 anni, costretto a vivere in un ambiente fatto di urla, litigi, odio e ghiaccio. Come se nulla fosse egli scompare, non visto dai genitori troppo occupati a passare del tempo con i rispettivi amanti.
Iniziano quindi le ricerche del ragazzo da parte di un gruppo di volontari, sostituti di un’istituzione che non ha tempo per certe cose. Ad essi si aggiungono i genitori del ragazzo.
 
C’è un motivo se si è ritenuto importante sottolineare la presenza dei genitori all’interno del gruppo di ricerca: i due sembrano non avere interesse nella scomparsa del figlio in quanto perdita della propria progenie ma in quanto ostacolo al proseguimento delle loro vite e del loro eventuale divorzio. Il ragazzino è una complicazione tra le tante, nulla di più; trovarlo è quasi un obbligo, non una necessità.

All’interno della “gabbia perfetta” di Zvjagincev si annida però una certa insistenza, banalizzante e svilente. Se la sua messa in scena, gestita con estremo rigore e geometria, basta a sottolineare quella mancanza di amore richiamata dal titolo, essa non è assecondata da una “selezione narrativa” adeguata.
Dopo un paio di sequenze infatti, l’abilissimo regista russo riesce introdurre totalmente lo spettatore all’interno del suo grigio mondo; con l’andare avanti del film però la mancanza di amore tra i personaggi, tra il microcosmo e il macrocosmo, diventa ridondante, ripetuta, fastidiosa a tratti. Ogni elemento di Loveless è permeato da questa freddezza la quale da una parte risulta essere fondamentale per la piena riuscita di un prodotto con un preciso intento, dall’altra diventa così prepotente da soffocare la pellicola accartocciandola su sé stessa.
Tale critica sembrerebbe insensata in quanto si sta discutendo la vitrea chiarezza di un prodotto che ha posto delle basi e non si è scostato minimamente da esse nella sua risoluzione: una narrazione perfetta, insomma.
Una narrazione perfetta alla maniera di Raffaello, direbbe Tarkovskij:

 

Quante valutazioni comunemente accettate vi sono in questo campo, tali da suscitare, a volte, soltanto perplessità! Chi non ha scritto su Raffaello e sulla sua Madonna Sistina? […]La Vergine Maria […] è spaventata per la sorte del figlio offerto in sacrificio agli uomini. Anche se per la loro salvezza, egli viene sacrificato nella lotta contro la tentazione di difenderlo da essi. Tutto ciò, in effetti, è “scritto” chiaramente nel quadro – dal mio punto di vista troppo chiaramente, poiché il pensiero dell’artista si legge purtroppo con precisione non equivoca.¹

Qual è il punto, dunque? Andrej Zvjagincev raccoglie a sé ogni frammento, ogni frame, ogni sequenza, ogni scena del suo film e indirizza tutto verso l’obiettivo della sua opera, svilendone la forma e trasmutandola da un potenziale prisma ricco di sfaccettature ad una serie di quadrati inscritti in sé stessi: una forma perfetta dunque, ma ridondante e semplice (nell’accezione negativa del termine).
Con questo non si vuole assolutamente dire che il film di Zvjagincev non sia degno di una visione ma si vuole porre l’accento sul fatto che una seconda visione potrebbe non essere così tanto rivelatrice di alcuni aspetti che magari sono sfuggiti alla prima. Tutto è così eloquente in Loveless, così fastidiosamente cristallino da essere pressante, tanto da dare una straniante sensazione di “spinta” da parte del regista a leggere la sua opera (esempio che valga per tutti: la sequenza finale).

Loveless è un film calibratissimo, perfetto nella sua forma, costante e crescente nel suo sviluppo; chiaro e cristallino come solo una scaglia di ghiaccio può essere. Nella sua eloquenza, però, ha chiuso ogni possibile strada – eccetto quella principale – ai suoi spettatori.



Riferimenti bibliografici
[1] ANDREJ TARKOVSKIJ, Scolpire il tempo, Istituto internazionale Andrej Tarkovskij, Perugia, 2016, p. 47.


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Comments (

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  1. vengodalmare

    Interessante il tuo blog, adoro il cinema e verrò spesso.

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    1. Eriol

      Ti ringrazio, è davvero un piacere per me!

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