«La tristezza durerà per sempre»: dalle parole di Van Gogh alla foresta delle anime perdute.

A Floresta das Almas Perdidas (2017, 71′) – José Pedro Lopes.

«La tristezza durerà per sempre»: nella tagline di questa ambigua e peculiare pellicola è contenuto un concetto spesso – a ragione, purtroppo – legato alle motivazioni per le quali una persona decide di porre fine alla propria vita: patologie come il disturbo depressivo maggiore portano l’individuo a credere che non ci sia nessuna via attraversando la quale si possa uscire dalla loro condizione; la loro tristezza – si è portati a credere – durerà per sempre.


Nota: la tagline del film è una frase tratta da uno scritto di Theo van Gogh (fratello di Vincent Van Gogh). A pronunciarla fu Vincent durante le ultime ore della sua vita.


È ovvio che il termine “tristezza” necessiti essere interpretato sotto diversi punti di vista, si rischierebbe altrimenti di banalizzare tutto ciò che riguarda il complesso e indecifrabile mondo interiore di chi scegliere di compiere un atto tanto estremo. Eppure l’imprevedibile A Floresta das Almas Perdidas sposta il focus su un altro modo di intendere il suicidio e sulle riflessioni che ne scaturiscono, giustapponendo una prima parte piuttosto contemplativa e costruita su una geometrica costruzione dialettica sostenuta dai due principali protagonisti ad una seconda parte che potrebbe sembrare, superficialmente, un banale (seppur piacevole) horror a tema home-invasion.

Ciò che giustifica e contestualizza il radicale spostamento del tenore del film nella sua seconda parte è principalmente, in effetti, la tagline. Al fine però di intendere tale spostamento è importante soffermarsi su una frase che viene automaticamente ricondotta alla voce del suicida e di nessun altro. Interpretare invece la tagline come riferimento ai cari e alle persone vicine a colui il quale si è tolto la vita sposta l’attenzione su tutt’altro aspetto della questione: non più, dunque, un film che parla di chi va via ma di chi rimane. Il primo, pone drasticamente fine alla sua tristezza; i secondi, ne sono travolti fino alla fine dei propri giorni. Allo stesso modo la prima mezz’ora riguarda l’interno dell’argomento “suicidio”: quello fatto di dubbi, di tormenti, di ingenuità, di scontro tra due realtà (il cinquantenne e la ventenne) e tra due diversi approcci alla terribile scelta; esso si svolge interamente nella foresta: bianca e nera, contrastata, inquietante e sussurrante (fatta eccezione per qualche momento in cui si percepisce una certa “inesperienza” nella messa in scena).
La parte restante del film invece riguarda l’esterno: la casa di famiglia nella quale vivono la moglie del protagonista e sua figlia (l’altra figlia del protagonista, invece, viene mostrata nell’atto di uccidersi all’inizio del film, proprio nella stessa foresta in cui si svolge – a distanza di anni – la vicenda di cui si sta parlando); al nucleo famigliare si aggiunge un ragazzo, fidanzato – o aspirante tale – della figlia del suicida: un elemento da non sottovalutare.

Durante la seconda parte della pellicola (dopo la morte del protagonista nella prima parte) avviene dunque un massacro di tutti gli elementi facenti parte dell’esterno, ed è qui che viene contestualizzato il forte cambio di registro dell’opera: l’assassino uccide la moglie e la figlia dell’uomo in quanto sarebbero state loro a subire le conseguenze della morte di lui; allo stesso modo uccide il ragazzo in quanto la “tristezza” per la morte della ragazza che amava l’avrebbe tormentato per sempre. Lungi da essere un comportamento misericordioso (quello dell’assassino) esso è comunque giustificato nell’ottica di un film che ha dedicato metà del suo minutaggio alla riflessione sulle conseguenze di un suicidio e sulle cicatrici che esso lascia (non a caso l’opera si apre col suicidio della figlia del protagonista e ribadisce tale concetto nella sequenza in cui viene mostrata una stanza della casa adibita a lei, con tanto di foto e candele che, a quanto pare, quotidianamente vengono accese in sua memoria).

Non è certo in questa sede che ci si soffermerà su quanto concerne le implicazioni etico-morali relative al suicidio e alle patologie che possono portare a certi atti; ciò che si ritiene importante in questo contesto è la maniera attraverso la quale l’arte esprime dei concetti e delle idee che possono essere fortemente fuorvianti o “impopolari”. Dopo la visione di questo film infatti è possibile trarre superficialmente delle conclusioni assurde quali la morte di chi rimane come soluzione alla difficile elaborazione di un lutto; alla luce di quanto detto però l’opera viene letta come riflessione sulla condizione di questi individui: la loro uccisione non è quindi una “conclusione” esposta dal regista, quanto più uno stimolo a riflettere sull’impatto che un suicidio ha sulle persone legate al suicida (una situazione molto particolare e ai limiti dell’assurdo quella messa in scena, indubbiamente; allo stesso tempo però è molto interessante).

L’arte non ha l’obbligo sottostare alle regole del buon costume e non ha l’obbligo di parlare attraverso schemi e strutture convenzionali. È necessario che essa trovi dei modi inusuali di scardinare la percezione delle cose, che spinga – anche in maniera estrema, come in questo caso – a spostare il proprio sguardo su strade meno infiorettate e lucide. Nella debolezza di alcuni momenti e di alcune scelte (è il primo lungometraggio del regista) A Floresta das Almas Perdidas ricorda che il cinema (soprattutto quello indipendente) ha bisogno di personalità che hanno il coraggio di dire qualcosa di “strano” su temi che purtroppo nella nostra epoca sono piuttosto comuni.

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Comments (

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  1. vengodalmare

    sono d’accordo su ciò che descrivi essere il ruolo dell’arte nel fornire nuove lenti di lettura del reale e dell’animo umano, per quanto strane impopolari o controverse possano essere.

    Piace a 1 persona

    1. Eriol

      Ritengo sia fondamentale che l’arte assuma certe “forme”. È lei che deve smuovere l’animo dell’uomo, e a lei sono concesse tutte le forme delle quali ha bisogno.

      Piace a 2 people

  2. «La tristezza durerà per sempre»: dalle parole di Van Gogh alla foresta delle anime perdute. — Il tempo impresso | l'eta' della innocenza

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