Rothkonite (2015, 3′) – Morgan Menegazzo e Mariachiara Pernisa.
Excursus Laterale è una “rubrica” che ripercorre parte della storia del Laterale Film Festival attraverso le opere proiettate nelle precedenti edizioni. Attraverso questi articoli si proverà a creare una «vera e propria raccolta di testi relativi alle opere di questi artisti invisibili, affinché il loro lavoro possa uscire al di fuori delle quattro mura della sala e rimanere in contatto con il pubblico delle precedenti edizioni e con quello – anch’esso invisibile – delle successive».
Excursus Laterale – Catalogo.
Sembra di assistere, in Rothkonite, al movimento degli attori¹ dei Multiforms² prima della loro definitiva trasformazione – o meglio stasi – in piani di colore più o meno compatti e disposti “ordinatamente” sulla superficie della tela. Sembra di assistere, inoltre, ad una vera e propria malattia dell’immagine cinematografica, un’infiammazione dei piani cromatici (pixel, in questo caso) che continua a farli ribollire e agitare: il suffisso -ite, in medicina, identifica proprio una terminologia relativa all’infiammazione; allo stesso tempo, in mineralogia esso è usato quale terminazione del nome di diverse rocce. È interessante notare come l’opera di Menegazzo e Pernisa agisca sullo schermo proprio in virtù di questa doppia natura del termine, caotica e alla ricerca della purificazione.
“Metti una pentola, piena d’acqua, sul fornello. A 45 gradi l’acqua sarà calda, a 70 sarà rovente e a 99 sarà vicina al punto di ebollizione. Ma sarà ancora acqua. Precisamente a 100 gradi la transizione avrà luogo, e diventerà vapore”.
Questa metafora fu inventata da Rothko mentre cercava di spiegare ad un amico artista cosa succede quando ci liberiamo di ogni cosa che abbiamo imparato, che ci colpisce, ci influenza, e ci appesantisce: insegnanti, modelli, tradizioni, regole e teorie.³
Al di là della veridicità di questo aneddoto (rispetto al quale non sono riuscito a trovare alcuna fonte) è spiazzante notare con quanta decisione i due autori siano riusciti a manomettere l’immagine (astratta in partenza e non divenuta astratta in seguito ad astrazione) e a portarla a 99 gradi facendo dialogare e sovrapporre i glitch con le opere dell’artista americano sulle note del quinto movimento di Rothko Chapel di Morton Feldman, quello nel quale tra l’altro è predominante una semplice e trascendentale melodia (non a caso il film dura esattamente quanto quel brano – inizia e si esaurisce in esso). Seguendolo, l’opera muta impercettibilmente al mutare dei suoni, dall’entrata del coro appena udibile (è espressamente richiesto alle voci di non utilizzare il vibrato al fine di rendere questa sorta di canto/non-canto qualcosa di puro, positivamente semplice) al cambio di tono sul finire dell’esecuzione della viola; così essa diventa un tutt’uno col percorso artistico di Rothko, un percorso verso la stasi e la contemplazione, una strada verso il posizionamento e l’ordine degli attori delle sue opere: attori che mai realmente sono rimasti immobili nelle sue tele, nemmeno nelle ultime presenti nella Rothko Chapel (vere espressioni della post-ebollizione della sua arte) la quale, nei secondi finali, appare decentrata, fuggevole.
MARK ROTHKO, Multiform, 1948, olio su tela, 155,0 x 118,7 cm, Canberra, (NGA) National Gallery of Australia.
MARK ROTHKO, Senza titolo, 1968, polimero sintetico su tela, 45,4 x 60,8 cm, New York, (MoMA) Museum of Modern Art.
.Il film tenta di liberarsi allora proprio come l’arte di Rothko, recide i legami con la figurazione e lascia che sia l’errore⁴/glitch a rendere mobile l’immagine e a farla fremere: secondo dopo secondo l’accumulo di rapide modulazioni di colore pare quasi mescolarsi e formare tinte unite (i fotogrammi con le opere del pittore quasi uniscono i pixel dispersi nello schermo e danno loro maggior compattezza): non riesce però Rothkonite, dopo l’ebollizione, a fermarsi e a liberarsi totalmente da ogni orpello artistico come le quattordici tele del santuario laico di Houston le quali restano nel film solo in qualità di brevi frammenti, accennati, non raggiunti; rimangono Multiforms, i colori di Menegazzo e Pernisa, forse non ancora pronti a prestarsi alla quieta tensione contemplativa dei capolavori del pittore, né dell’opera di Feldman.
D’altronde seppur l’opera d’arte non sia una ricerca ma il risultato di una ricerca, è un risultato anche il fatto stesso di aver trovato un punto oltre il quale non è ancora possibile andare. Rothkon-ite è un’infiammazione e non ancora una roccia; piuttosto, «un frammento dell’esplosione del pianeta di Rothko»⁵.

Riferimenti bibliografici:
- ¹«Considero i miei quadri come drammi teatrali; le forme che vi figurano sono gli attori. Sono stati realizzati per la necessità di disporre di un gruppo d’attori in grado di recitare in modo drammatico senza imbarazzo e di eseguire gesti senza vergogna» in M. ROTHKO, Scritti sull’arte. 1934-1969
- ²«Questi elementi non sono altro che forme dotate di una propria esperienza, che si muovono e si espandono sulla superficie della tela, rifiutando le vestigia della prospettiva e di ogni naturalismo. In luogo di figure stagliate su uno sfondo, si ha così un amalgama unico di un colore esuberante vibratile e sensuoso, che sfugge a ogni conformazione e restituisce una profondità indefinita alla superficie del dipinto in R. VENTURI, Rothko.
- ³Così scrivono Menegazzo e Pernisa in relazione al loro film.
- ⁴«Anche Rothkonite si rivela un errore, un bug filmico, un errore che non viene eluso né respinto, ma affrontato, analizzato e scrutinato in tutte le sue sfaccettature. L’errore non è più un errore, né è oscurità, e l’errore diventa l’unica scelta possibile», ibidem.
- ⁵ibidem.
- Un podcast del musicologo Carlo Boccadoro su Rothko Chapel di Morton Feldman: https://www.raiplayradio.it/audio/2017/11/Morton-Feldman-Rothko-Chapel-Lezioni-di-Musica-del-10122017-con-Carlo-Boccadoro-11b878fe-8233-40f3-baf5-d3190573ace5.html
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