Dalla composizione dinamica-teatro alla composizione onirica-cinema.

Hans Op de Beeck, The girl, 2017, 16′.



Excursus Laterale è una “rubrica” che ripercorre parte della storia del Laterale Film Festival attraverso le opere proiettate nelle precedenti edizioni. Attraverso questi articoli si proverà a creare una «vera e propria raccolta di testi relativi alle opere di questi artisti invisibili, affinché il loro lavoro possa uscire al di fuori delle quattro mura della sala e rimanere in contatto con il pubblico delle precedenti edizioni e con quello – anch’esso invisibile – delle successive».

Excursus Laterale – Catalogo.




And there it was
the first draft of my raft
there, there.
In that swampy field
would lips will sealed?
In water roads.
Where, where?
No one hear then,
no one chose to feel.
There, there,
there, there, there,
There, there, there, there.

[…]

Then the water, the water
washed away the loss.
The ache,
into a lake,
into a lake
of consolation.
Now I drift
as a gift,
as a gift
with the scar
of a perfection.
Water invites,
water invites,
water invites,
reflection.

Tom Pitens, The Girl soundtrack, 2017

La visione di opere come quelle di Hans Op de Beeck mette in dubbio lo statuto di certe espressioni delle immagini in movimento e delle loro modalità di fruizione. Il termine “installazione” accoglie sotto la sua ala una sterminata quantità di prodotti audiovisivi e non, di diversa fattura e soprattutto dalle condizioni di fruizione più disparate: da schermi multipli a pannelli curvi (o dalle forme anomale) fino ad arrivare ad ambienti che sono video in toto.
Così per i tre Staging Silence (2009, 22′; 2013, 21′; 2019, 44′) sembra difficile immaginare la proiezione in una sala cinematografica (sono infatti delle installazioni), eppure non c’è niente che impedisca loro di presentarsi come dei veri e propri “film” (se non la volontà dell’autore).
Abbandonando quindi terminologie, etichette e categorizzazioni troppo intricate da gestire in questa sede1, si veda come The Girl possa essere trattata come un’opera “cinematografica” senza ambiguità, in quanto punto culminante di un discorso di formazione e mutazione della materia (fisica e contenutistica) portato avanti dal regista nella sua opera (che è multidisciplinare e sulla quale ampiezza non ci si soffermerà2).

Che si tratti di opere pittoriche, plastiche o audiovisive ciò che emerge nella produzione di Hans Op de Beeck è un’attenzione nei confronti dei mutamenti della materia, di un’entropia che viene sottolineata e ri-sottolineata proprio in quei lavori che si sviluppano nel tempo. Ecco che Night time (2015, 19′), Extension (2009, 11′) o Gardening (2001, 10′) si presentano come dei macro-acquerelli che vengono costantemente ridipinti e cancellati da strati ulteriori: alberi che crescono, fioriscono e le cui foglie cadono per lasciar spazio alla neve sui rami. A questo primo, fondamentale elemento si aggiunge quello della composizione dinamica (il ridipingere cui si faceva accenno qualche riga sopra) che nelle installazioni e in film come The thread (2015, 15′) viene traslata dal teatro e messa in mostra diventando l’effettivo soggetto delle opere: gli scenari della serie Staging Silence sono montati e smontati da operatori esterni che tolgono e mettono degli elementi, creando così inquadrature che non sono separate da un classico taglio di montaggio: ognuna di esse è generata dalla precedente e si trasforma nella successiva in una compenetrazione graduale e fluida; materia che si disgrega e si ricompone in forme costantemente nuove.
Questi operatori anonimi sono gli effettivi protagonisti di The thread, film il quale racconta una storia tutto sommato banale (l’amore tra due persone fino alla morte) ma che sposta il focus sulla sua qualità formale, ovvero la presenza di questi uomini che muovono i manichini “protagonisti” del film.
Hans Op de Beeck è quindi chiaramente un uomo di teatro, un burattinaio e regista il quale appartiene a quel mondo che cerca di trasportare nella temporalità dell’impressione filmica, nella sua natura di mezzo atto a cogliere il divenire e la trasformazione della materia.

The Girl si può considerare, alla luce di quanto detto fin’ora, un vero e proprio momento cardine del rapporto tra l’artista e la composizione scenica: se la natura e il paesaggio certo rimangono i suoi soggetti preferiti, il trasporto all’interno del mondo del sogno “solleva” l’autore e i suoi operatori dall’incarico della composizione e permette al suo stesso personaggio (la ragazza del titolo) di mettere in scena le immagini.
Dunque le inquadrature sono già composte, i tableaux vivants delle opere precedenti non sono più un insieme di elementi disposti gradualmente ma si presentano come un tutto organico già da principio, calati in un contesto ambientale, atmosferico, mobile, fluido. Quelli che erano dei microcosmi simili a case delle bambole ora diventano dei luoghi vivi e pulsanti, noncuranti delle limitazioni imposte da un ambiente all’interno del quale sarebbero potuti essere collocati. Non ci si trova più nel dominio del reale, questi quadri non sono più reali ed esistono solo nel territorio del filmico, soggetti alle regole del «gioco di bimba».

Così il passare del tempo non è più una caratteristica formale esposta e data dalla rimodulazione costante del palcoscenico filmato ma diventa elemento prettamente contenutistico: le immagini proposte allo spettatore sono quelle di un viaggio, di un percorso. La presenza costante di una bici con carretto, di una roulotte, di strade, perfino il movimento laterale della ragazzina stessa all’interno di uno dei quadri, tutto è volto a quegli stessi elementi che erano propri delle opere alle quali si è già fatto brevemente cenno (si vedano anche le vanitas e i memento mori dell’artista) ma i quali vengono questa volta trattati secondo le specificità del medium. Il tempo passa in The girl, la materia si disgrega in un mondo filmico che si rivela essere solo una proiezione onirica da parte di una ragazza la quale, al contrario, è sospesa, pittoricamente immobile, in un lago nel quale affondare un dolore che è probabilmente quello della crescita e dell’inizio di un viaggio lontano da una dimora oramai in rovina.
Una leggera sensazione di “casa” è data da una roulotte, da un fuoco acceso, da quello che sembra essere un rifugio – seppur temporaneo. Non c’è tregua però dalla pioggia e dalla desolazione del mondo in cui si trova. Non resta che lasciarsi dondolare, ferita, dall’impercettibile movimento dell’acqua di un lago, prima di scomparire nella nebbia.

Dondola, dondola, il vento la spinge
cattura le stelle per i suoi desideri.
Un’ombra furtiva si stacca dal muro:
nel gioco di bimba si perde una donna.
Un grido al mattino in mezzo alla strada

Un uomo di pezza invoca il suo sarto
Con voce smarrita per sempre ripete:
«Io non volevo svegliarla così»
«Io non volevo svegliarla così»

Le Orme, Gioco di bimba, 1972

Bibliografia

1 Si veda ad esempio Miriam De Rosa, Cinema e postmedia. I territori del filmico nel contemporaneo, Milano 2013.
2 Sul suo sito web sono disponibili le sue opere tra le quali The girl.


Articolo su Landmarks

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