Oleander Garden, HEXCRAFT: Eventide Sigil, 2020.
Premessa
L’articolo che segue fa parte di un percorso di ricerca sull’opera di Oleander Garden. Essendo la sua intera opera un’architettura di connessioni intermediali e, essendo HEXCRAFT: Eventide Sigil parte di questo complesso artistico, si daranno per scontate le fondamenta tracciate in Spazi digitali al collasso: la Trilogia PAGAN. Nonostante nel corso dell’articolo ci saranno rimandi specifici qualora fosse necessario, la conoscenza di come l’autrice ha impostato il suo percorso artistico, la storia di XENOS Softworks, di PAGAN e di Vivian, è pressoché essenziale per approcciarsi al seguente testo in maniera critica e consapevole.
Durante l’intervista ad Oleander Garden, l’artista ha definito così quella che crede essere la specificità del videogioco:
Un videogioco è una galleria di immagini-movimento disposte sistematicamente. Si distingue da una collezione di film nella misura in cui non si può scegliere liberamente tra le sequenze di immagini, ma si è costretti ad interagire con un sistema organizzato di relazioni che in un certo modo restringono quella che sarebbe altrimenti una totale libertà di scelta. Questo sistema – l’immagine-frizione, come la chiama Cremin – è la materia della produzione/espressione nei videogiochi, e non la si può trovare in nessuna immagine in movimento.
Ora, questo «sistema organizzato di relazioni», queste immagini-movimento «disposte sistematicamente», possono essere più o meno organizzate, più o meno sistematiche, più o meno rigide, tendenzialmente ammantate di narrativa o palesate sotto forma di strutture parametriche e meccaniche facilmente identificabili e – come spesso accade – al servizio dell’azione del soggetto interagente. HEXCRAFT: Eventide Sigil (HES) si pone, in questo senso, come opera diametralmente opposta a questa concezione mistificatrice: l’architettura dell’opera è estremamente rigorosa e organizza secondo i criteri della parametria classica dei giochi di ruolo (certo declinata qui secondo un’oscura visione poetica e sostanzialmente disillusa della vita) una riflessione sulla natura della violenza umana, in particolare quando messa in relazione a delle circostanze sociali che vanno definendosi nell’epoca contemporanea1.
Definito dall’autrice un «incel terrorism simulator», diventa chiaro sin da subito che il videogioco sovverte la dinamica classica della centralità positiva (o ludicamente negativa e anti-eroistica del cattivo di turno) del personaggio protagonista e mette il videogiocatore, già in partenza, in una condizione di amoralità. HEXCRAFT: Eventide sigil è appena iniziato e l’interagente è già dalla parte del torto, pronto ad uscire dalla sua cameretta per prendere un’auto e andare a compiere la sua personale crociata in città2.








È interessante a tal proposito che il processo di identificazione primaria (che, a differenza del cinema, nel videogioco coincide con quello di identificazione secondaria – perlomeno nei confronti del protagonista) sortisca un effetto opposto rispetto a quello generato dalla Trilogia PAGAN (cui HES è intimamente legato – si vedrà più avanti in che modo): se in quel caso la visuale in prima persona garantiva il potenziamento dell’immersione all’interno del punto di vista di una figura in cammino verso un nuovo corpo e una nuova vita, qui ci si trova dall’altra parte dello spettro: il protagonista va quasi sicuramente verso la (auto)distruzione data da un gesto che non può moralmente implicare o accettare qualsivoglia forma di riscatto. Il videogiocatore non vuole stare al gioco eppure è costretto dal sistema narrativo – impositivo – a portare a termine il suo percorso nella Sigil Town alla ricerca di 5 misteriose reliquie3.
Una piccola parentesi a questo punto. Il tema del terrorismo giovanile è stato trattato da Gus Van Sant nel suo Elephant (2003, 81′) e, cosa ancor più interessante, adottando un sistema di ripresa volto a simulare quello di un videogioco in terza persona. Ecco che la macchina da presa del regista rimane ancorata ai protagonisti delle differenti sezioni (pur mantenendo nei loro confronti la stessa distanza che il videogiocatore mantiene nei confronti del suo avatar) e si associa, implacabile e indifferente, ai loro movimenti. Al momento opportuno, inoltre, cambia soggetto così come si cambia personaggio nel corso della campagna di un videogioco corale. In una sequenza, addirittura, alle immagini cinematografiche si sostituisce la stessa visione traslata in un videogioco dell’epoca, a sancire questa fusione col cinema. Inutile dirlo, HEXCRAFT: Eventide Sigil, in quanto opera legata al lavoro di XENOS Softworks4, simula un videogioco della fine degli anni ’90.



Tornando ora al videogioco: a questo punto si delineano diverse opzioni corrispondenti a 4 finali: di questi, due sono particolarmente interessanti.
Nel caso in cui si venisse uccisi da personaggi non giocabili (npc) – le forze dell’ordine o i cavalieri di Artù, erranti nella mappa – una frase sancirà la morte con spietata crudezza: «And from the woud came only blood», forse disgregando quanto c’è di spirituale nel passo evangelico sulla morte del Cristo in croce: «ma uno dei soldati con una lancia gli colpì il fianco, e subito ne uscì sangue e acqua» (Gv 19, 34). Painticus coglie un punto importante nell’identificare questo finale come quello “positivo”5, è l’unico tra tutti i finali a generare quello che sembra essere anche solo vagamente un sentimento prossimo alla catarsi. Il terrorista è morto, e se certo non si gioisce di questa morte, ci si sente sollevati dall’essersi liberati dell’atmosfera oppressiva del videogioco. E qualora si decidesse di rimanere inerti nei confronti della quest, il finale porterebbe a quella che sembra essere una cattura da parte dei cavalieri e ciò non sembra risolvere alcun conflitto. Piuttosto ha l’aria di essere una tra le tante azioni losche di un gruppo che di cavalleresco non ha granché6: le azioni di quest’ultimi, infatti, oscillano tra l’essere estremamente riverenti nei confronti del protagonista e l’aggressività più totale (verbale e/o fisica); ancora, non è raro trovarsi di fronte a due cavalieri che si combattono e si uccidono a vicenda. C’è da sottolineare, infatti, che nessuna campagna è uguale alla precedente, perché gli npc rispondono ad un’intelligenza artificiale ad alto tasso di casualità; inutile dire che ciò contribuisce fortemente ad alimentare la frustrazione dell’interagente, il quale non può avere un piano d’azione ben congegnato nonostante i ripetuti tentativi.



Il secondo finale rilevante è quello più difficile da ottenere e connette inaspettatamente l’opera alla Trilogia PAGAN7. L’accumulo di violenza generata dal personaggio/fruitore nelle diverse aree della città accresce un qualche valore parametrico legato probabilmente alla follia, all’annichilimento, all’acuirsi della sua tendenza (auto)distruttiva – dunque suicida: questo porta alla comparsa di alcune figure demoniache nella mappa (virtualmente impossibili da fronteggiare) che colonizzano gli spazi della Sigil Town. In questo contesto – si direbbe apocalittico, non fosse per il fatto che, dopotutto, è di un minuscolo uomo che si parla –, trovarsi al momento giusto e nel posto giusto dà accesso all’ultimo finale, strepitoso nella sua natura meta- e inter- mediale: il videogiocatore si ritrova catapultato in Your Child Looking West (è davvero così? Oppure, forse, è solo una visione/ricordo pre-morte del protagonista poco prima del suo suicidio? O dopo?), l’opera di XENOS Softworks di cui si ha la fortuna di possedere qualche informazione e che sembrava essere perduta per sempre8. Qui egli dovrà recuperare i frammenti della mitica Excalibur – altro oggetto presente in tutte le opere di Garden – per poterla forgiare nuovamente.
Qualora non sia stata ancora delineata un’estetica del videogioco lento così come avvenuta col cinema (slow cinema) ecco che basandosi su Your Child Looking West (YCLW), il quale si presenta come efficace portavoce postmoderno di tale modello, è possibile abbozzare qualche appunto sullo statuto e sulle conseguenze dell’operazione di Oleander Garden. La campagna di YCLW è stremante, limitata da un sistema di movimento a dir poco arcaico (ben più arcaico di un supposto videogioco sviluppato nel 1994) che fa pensare ad una violenza esperienziale nei confronti del fruitore più che ad una inadeguatezza tecnica da parte degli sviluppatori9. Così come Béla Tarr, Lav Diaz o James Benning (per citarne qualcuno fra tanti) mettono alla prova la capacità dello spettatore di affrontare un’esperienza contemplativa e ascetica quasi, XENOS Softworks sostituisce, alla comune difficoltà impersonata da ostacoli sottoforma di enigmi o nemici da sconfiggere, il tempo che il videogiocatore (che mai come ora è stato così poco “giocatore”) è disposto a dedicare all’impegno di portare il protagonista alla fine di un immenso labirinto alla ricerca di questi 7 frammenti.



Che poi, a pensarci, così immenso questo labirinto non è10, così come non è immensa la durata della vicenda di Sátántangó (appena una notte): il rallentare così drasticamente l’avanzare della quest non è altro che una divina concessione da parte degli sviluppatori per incontrare lo scorrere di un tempo non manipolabile, non distorto da calzari magici o oggetti portatori di bonus di ogni tipo volti ad una semplificazione dell’esperienza. Più difficile di quanto non sia stato portare a termine HEXCRAFT: Eventide Sigil (dal punto di vista dell’abilità tecnica richiesta per completare gli obiettivi), Your Child Looking West mette alla prova la resistenza mentale del videogiocatore e non la sua performance atletica, non c’è più niente da imparare, per l’apprendista, dal maestro (una figura, questa, che utilizza Cremin per definire il videogiocatore e il creatore del videogioco): rimane solo la figura dell’artista il quale, annichilito il suo apprendista, può imporgli un ultimo estenuante compito, quello di arrivare al termine del labirinto e ottenere l’ultimo finale.
Ottenere? Non c’è niente da ottenere, in senso stretto, nel finale di Your Child Looking West, solo un ulteriore indizio sul percorso artistico di Oleander Garden: è paradossale – o forse assolutamente naturale – che alla conclusione del frammento più impegnativo e stressante di tutte le opere dell’autrice, il premio sia un falso premio, una parete di gomma che respinge il fruitore e lo rimanda, ancora una volta, altrove, nei frammenti dispersi della storia di XENOS Softworks e di Vivian.



Un videogioco nel videogioco, dunque. Un interagente (fruitore) che controlla un personaggio (il protagonista di HES) che probabilmente controlla – a fine campagna – un personaggio (il protagonista di YCLW). Questo sistema di matrioske messo su dall’artista è ennesimo indice della consapevolezza che lei ha del suo stesso programma artistico: Your Child Looking West era già nella storiografia legata a XENOS Softworks ma, adesso, è stato riposizionato in forma di videogioco-nel-videogioco in seguito allo sviluppo di HEXCRAFT: Eventide Sigil, quasi come se quest’ultimo avesse inglobato in sé del materiale d’archivio come accade da decenni per il cinema. A ben guardare, questa mise en abyme testuale presenta un ulteriore livello: conclusa la campagna di YCLW, ciò che si raggiunge non è altro che un ennesimo elemento della rete di relazioni intermediali di cui si sta discutendo, ovvero un indizio circa la nuova opera di Garden, HEXCRAFT: Harlequin Fair11. Una matrioska che contiene bamboline di frammenti di tempo trascorso (fino al 1994 – per ora) ma il quale ultimo strato ne nasconde una ancora da venire (2021). Insomma, una paradossale matrioska escheriana.
HEXCRAFT: Eventide Sigil è un’opera estremamente difficile da qualunque punto di vista la si voglia approcciare: richiede un’abilità performativa non indifferente da parte del fruitore e non ha problemi a punirlo duramente qualora esso non fosse disposto a migliorare (la morte è permanente – vale a dire che il software si spegne al termine della breve sequenza del primo finale). L’emozione globale che ammanta tutta l’opera è probabilmente quella di una tensione angosciosa sempre sul punto di oltrepassare il limite della sopportazione: tutto è silenzioso, tutto sembra preludere ad un disastro, anche le più banali soluzioni tecniche puntano all’inquietudine di un fruitore che sa di avere tra le mani il controllo di un finto crociato. A quest’ultimo proposito si menziona, a titolo d’esempio, la scelta di impostare un’asse fisso alle sagome dei personaggi non giocabili: i cavalieri, le forze dell’ordine ma soprattutto i cittadini, figurette identiche tra loro e prive di volto, ruotano su sé stesse mantenendo costantemente il loro corpo rivolto verso il personaggio; non si può girare loro attorno, non si può passare inosservati. Questi ultimi, inoltre, vittime principali del massacro, invano tenteranno di scappare davanti alla manifesta intenzione – da parte del videogiocatore – di ucciderli: si accumuleranno tendenzialmente agli angoli delle stanze, oscilleranno inutilmente da una parte all’altra del campo visivo, proveranno a scappare per le vie principali della città. Tutto ciò tenendo sempre il loro corpo rivolto verso il carnefice, senza emanare alcun suono né strepitio. Il vero “suono” di HES è quello dello sparo dell’arma da fuoco. All’arrivo della polizia la paura si fa tangibile e la consapevolezza della morte permanente imposta dal videogioco basta e avanza a rendere qualche manciata di minuti un vero e proprio incubo.
Un rigido sistema di immagini-frizione del caos, quello di HEXCRAFT: Eventide Sigil. Come Oleander Garden sia riuscita ad ottenere una miscela così ascetica è un piacevole mistero al pari di quello suscitato dalle opere del tardo Mondrian o dal Rothko della cappella aconfessionale di Houston. Stregonesco, direbbe Longhi.
Bibliografia
1 Così Oleander Garden porta avanti il suo discorso sulla contemporaneità e ripropone ancora una volta una riflessione su un tema vicino soprattutto a coloro i quali fruiscono dei videogiochi. Su quest’idea si veda l’articolo dedicato alla Trilogia PAGAN.
2 Si veda a tal proposito il massacro alla Columbine High School (1999) oppure il massacro di Isla Vista (2014), eventi che non possono non venire in mente durante la campagna di HEXCRAFT: Eventide Sigil. Sul concetto di incel si veda il lunghissimo manifesto scritto dall’autore del massacro di Isla Vista, Elliot Rodger: My Twisted World. The Story of Elliot Rodger.
3 Il tempo scorre ogniqualvolta ci si sposta da una zona della mappa all’altra. Dopo un certo numero di spostamenti, e il trascorrere di un determinato numero di giorni e notti, l’opera arriva alla sua conclusione – che varia appunto a seconda dei requisiti soddisfatti durante il corso della campagna.
4 Si rimanda ancora all’articolo sulla Trilogia PAGAN per un quadro più chiaro sulla storia di questa misteriosa casa di produzione.
5 Crusades in a Dying World – HEXCRAFT: Eventide Sigil Review
6 Ancora Painticus avanza un’ipotesi circa la natura dei cavalieri, legandoli a quelli che in gergo sono chiamati White knights. Si vuole evitare in questa sede di assecondare una lettura così didascalica del videogioco di Oleander Garden – data la fiducia nella qualità della sua opera – e quindi la si menziona solo per il bene del confronto e per tutta la lettura che si può fare in conseguenza di un’interpretazione di questo tipo. D’altra parte purtroppo, e come già si è detto nell’articolo sulla Trilogia PAGAN, l’autrice non è certo estranea a certe soluzioni simboliche e affettate.
7 A dire il vero avvisaglie di questo contatto sono già riscontrabili nella presenza dell’iconografia rinascimentale o di elementi del ciclo arturiano.
8 https://oleander.garden/archive/deadgamewiki/yourchild.html Ancora una volta si rimanda all’articolo principale sull’opera di Garden. Lì si chiarisce la natura metatestuale di tutto il suo lavoro.
9 Si ricordi che gli sviluppatori di XENOS Softworks «are known for their user hostile style of design».
10 Lo è nella misura in cui l’esperienza del perdersi è data più da un calo d’attenzione che da vere e proprie scelte “sbagliate”. Sembra infatti che il labirinto, così come in uno dei finali di PAGAN: Autogeny, sia costruito per permettere al fruitore di avanzare in maniera tutto sommato lineare – per quanto si possa dire ciò di un labirinto.
11 Al momento della stesura di questo articolo è stata pubblicata solo una demo la quale, comunque, è sufficiente a far capire che si avrà a che fare nuovamente con Vivian.
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